GAME OF THRONES - Draghi, metalupi e squali. La recensione dell'episodio 8x04 "The Last Stark" e una riflessione sulla direzione intrapresa dalla serie



Con quest'ultima stagione è ormai chiaro che la vera battaglia finale si consumerà tra spassionati sostenitori e critici detrattori della serie. Resta da capire in cosa Game of Thrones abbia sbagliato o almeno cosa sia successo che ha fatto in modo che da serie più vista diventasse serie-più-vista-ma-altrettanto-criticata. Per far ciò scomoderemo una meccanica seriale ormai canonica, scomoderemo Arthur Fonzarelli e lo scii d'acqua, ma soprattutto interpelleremo la vera croce della serialità televisiva contemporanea: il cosiddetto Salto dello squalo.


Il Jumping the Shark, così chiamato in lingua, trae origine per l'appunto da un episodio di Happy Days in cui Fonzie salta uno squalo, letteralmente. Da quel momento con questo termine, coniato da Jon Hein, sono stati indicati tutti gli scivoloni contenuti nelle diverse serie televisive che hanno messo a repentaglio la qualità, la credibilità e quindi il futuro della serie stessa. 

Sempre sul pezzo, gli autori di Supernatural scherzarono con il termine e dimostrarono una spiccata consapevolezza del medium dedicando un intero episodio nella quarta stagione intitolato per l'appunto Jump the Shark, in cui introdussero all'improvviso un terzo fratello Winchester. 

Su ciascuna delle proprie serie preferite si potrebbero passare ore alla ricerca del Salto dello squalo, l'inesorabile punto di non ritorno oltre il quale niente è più lo stesso. Su questo hanno fatto un ottimo lavoro Matteo Marino e Claudio Gotti con i loro due volumi de Il mio primo dizionario delle serie TV Cult, in cui hanno dedicato a ciascun titolo che lo permettesse un apposito paragrafo dove viene descritto nello specifico il rispettivo Salto. Attenzione, seppur siano poche esistono comunque serie che vantano di non contare alcun scivolone significativo.

Intanto siamo arrivati al quarto episodio dell'ottava stagione di Game of Thrones e qualcosa, anche per noi che abbiamo difeso a spada tratta o quasi la battaglia di Grande Inverno, sembra essere cambiato. Pur cominciando ad accorgerne ora che è tempo di raccogliere le ceneri e unire i tasselli finali, è cosa nota che questo cambiamento non è arrivato da qualche episodio, bensì da molto prima.

Quando è stato allora il Salto dello squalo per l'adattamento televisivo dei libri di Martin? 

IL COLPO D'ARYA DEL NIGHT KING nell'episodio 8x3 ha rappresentato per molti il declino definitivo della serie. Chi ha accettato la fine del Re della Notte ha avuto qualcosa da dire sulla battaglia, chi ha accettato 90 min di battaglia non ha a sua volta mandato giù l'inaspettato epilogo. Se come andremo a vedere per molte persone il Salto dello squalo è arrivato qualche tempo prima, la Battaglia di Grande Inverno ha certo contribuito in maniera sostanziale a fare da spartiacque e ad agguerrire un pubblico sempre più diviso. 

I DEUS EX MACHINA, in particolare quello riguardante Benjen Stark nell'episodio 7x06, non sono stati mai del tutto graditi. Per molti Benjen è infatti uno dei personaggi più sprecati e ne parlai in passato in un articolo che qui ripropongo.

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IL TELETRASPORTO non è una vera e propria scena, bensì un intero flavour che ha dominato tutta la settima stagione. Molti ricordano e condannano ancora oggi infatti la poca credibilità di alcuni spostamenti, uno su tutti la folle corsa di Gendry e l'arrivo di Daenerys oltre la barriera nel quinto episodio Eastwatch, conosciuto parodisticamente come l'episodio a tema Suicide Squad. In generale dalla settima stagione si riscontra un accelerazione degli eventi e un'incremento del numero di ellissi temporali che in certi momenti posso risultare fuorvianti. Lo notiamo anche nell'episodio in commento a questa recensione, l'ultimo andato in onda, dove un attimo prima Missandei viene rapita e l'attimo dopo Daenerys,Vermegrigio e Tyrion sono alle porte di Approdo del Re a reclamare la liberazione dell'ancella e la resa di Cersei, cosa che purtroppo avrà esiti tragici e cruciali.

LA SHIPSTORM non è il male in assoluto. I personaggi si incontrano, si uccidono a vicenda o si innamorano. Questo può avvenire in maniera più o meno telefonata, come nel caso di Jon Snow e Daenerys o Jaime e Brienne. Nell'ultimo episodio andato in onda proprio l'ultima coppia viene finalmente (direbbero alcuni) sancita, dedicando loro una scena d'amore e una di addio, il tutto nel giro di pochi minuti.
Il vero rischio che corrono le ship nel loro passaggio da OTP (One true paring, quelle che i fan vorrebbero con tutto il cuore ma non sono) o Sunk (sognatevelo proprio) a quelle Canon o Sailer (quelle assodate, divenute parte integrante della serie) è che sfocino nel mero fan service, un termine ormai smodatamente utilizzato che sta a indicare quel materiale dichiaratamente realizzato e trasmesso per soddisfare una fetta di pubblico o fandom, solitamente la più vasta e redditizia. 
Serie come la già citata Supernatural hanno fatto del fan service il proprio format, mentre serie come AHS nella stessa ottica ci è semplicemente annegato con la sua ultima stagione Apocalypse, di cui abbiamo ampiamente parlato qui su Lost In A FlashForward.

Che Game of Thrones sia scaduto ufficialmente nel circolo vizioso del fan service non è un dato di fatto, tuttavia non sono in pochi coloro che hanno notato alcuni intrecci e scambi di battute oltre il limite della prevedibilità,  dell'autoreferenzialità e decisamente non rilevanti sotto certi aspetti, visto il poco tempo che ci separa dalla fine. 

QUANDO C'ERA MARTIN era tutta un'altra cosa. È scontato che il pensiero di molti appassionati sia questo, soprattutto se si tratta di lettori che hanno scoperto la saga ben prima che ne venisse prodotto un adattamento televisivo di ulteriore successo. Viceversa, pochi coraggiosi puntano il dito proprio contro alcune scelte intraprese in origine dall'autore, come i peccati di ingenuità della compianta Catelyn Stark, o la fondamentale e intoccabile morte di Nedd.

Ci ricolleghiamo all'ultimo punto per tirare le fila del nostro discorso e gettare le nostre conclusioni su quanto detto e visto finora. 
Sempre che esista un Salto dello squalo per Game of Thrones, forse questo è da cercare non sul piano narrativo bensì sulle retrovie della produzione. La serie creata da David Benioff e D.B Weiss (duo nominato ormai spesso con l'acronimo D&D, che per un giocatore di ruolo come il sottoscritto ogni volta confonde per qualche secondo) è infatti uno dei rari casi in cui l'adattamento ha superato in fatto di materiale quantitativo il testo di partenza. Se i libri terminano infatti con il cliffhanger della morte di Jon, la serie si è trovata improvvisamente con pochissimi punti di riferimento da seguire per portare avanti il plot. Se in questo gli autori abbiano fallito se ne può certo discutere ed è ancora questione aperta, certo è che la grandezza di Game of Thrones non è data solo dall'investimento economico e dalla spettacolarità delle battaglie, perfino ora che non sembra andare avanti se non d'altro. 

Immaginandoci una serie HBO come un castello che poggia su basi solidissime, quelle dei libri, siamo ormai sufficientemente esperti per capire che ciò non può certo salvarlo per sempre da intemperie millenarie, draghi e squali. Calcolando poi che più di ventanni separano la pubblicazione del primo libro dal punto in cui ci troviamo ora con la serie, andrebbero forse presi in considerazione tutti i cambiamenti in parte negativi cui la comunicazione contemporanea è stata sottoposta. Non dimentichiamo, in tal senso, che il primo decennio degli anni Duemila è ritenuto uno dei più bui della storia del cinema, secondo Martin Scorsese perché lo spettatore è oggi regolarmente e indiscriminatamente bombardato da climax. Se si aggiunge il fatto che la serialità televisiva, come il cinema e gli altri media dello spettacolo, è e rimane un'industria, il malcontento dovuto al cammino intrapreso da Game of  Thrones sembra chiedere d'essere ridimensionato. 




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Articolo di Fabio Scala

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