Come Murder House, Hotel è ambientato nella nostra epoca, ma
più della casa infestata l’Hotel Cortez sembra racchiuso in un proprio mondo,
grazie anche all’arredamento retrò che sembra racchiudere tutta la sua storia passata e
distaccarlo abilmente dalla Los Angeles in cui è ambientata la vicenda. Come ci hanno ben insegnato, la storia si
muove su archi temporali diversi, con personaggi diversi, in un incastro molto sapiente di momenti che
riescono a mantenere il ritmo di una puntata piuttosto introduttiva.
Facciamo la conoscenza -di alcuni- dei personaggi e scopriamo
quali saranno i terrori di questa stagione. E' proprio in questi momenti, in cui si
scoprivano le carte in gioco dei temi soprannaturali di quest’anno, che mi è
sembrato di rivedere l’American Horror Story che ho amato nelle prime due
stagioni. C’è sempre stato un filo conduttore, in tutte le stagioni (fantasmi,
stregoneria, fenomeni da baraccone…) fortemente evidente a cui erano però
affiancate molte più storie, fobie, orrori. Quest’anno il topic è il vampirismo
( o sindrome del sangue antico, come preferisce chiamarla Murphy) e con lui le
droghe e la dipendenza, che sia questa di sostanze, fama o sesso. Ecco, ho apprezzato
come sono state poste. Il richiamo più soprannaturale e riconoscibile, quello
alla Contessa vampira, che entra in scena in modo volutamente esplicito –
mantello rosso, Tear You Apart in sottofondo, quella chicca di Nosferatu sullo schermo del drive
in- è quello che mi è sembrato più umano, nel senso di meno grottesco dei
mostri vampiri a cui siamo stati abituati, terrificante in un senso del
tutto nuovo. L’orgia di Donovan e della Contessa, che finiscono per bere il
sangue dei due sconosciuti, sembra un naturale (e omicida) culmine all’atto
più che un assalto vampiresco. E questo è un bene, perché non avevamo bisogno
di un banale vampiro che si aggira nell’ombra. Insomma, questo è il terrore
alla luce del sole. O delle lampade al neon se preferite. Nascosto nell’ombra c’è ben altro: la
dipendenza da droghe di Sally e Gabriel, che è il reale, diventa davvero reale perché personificata fino a diventare
un vero mostro. Nella mia opinione l’assalto dell’essere senza volto a Gabriel è una scena abbastanza cruda, ma è la frase di
Sally a metterla in evidenza per quello che è “The more you scream, the more he
likes it”. E’ brutale, è la metafora che diventa viva, è l’arte di American
Horror Story.
Mi è piaciuto come tutta la storia all’hotel si sia incentrata
quasi soltanto su una sola stanza, come un richiamo ai grandi classici: in
Shining avevamo la stanza 237 e due
gemelle sul triciclo, all’hotel Cortez la stanza 64 e due bambini
succhiasangue. Kubrick sarebbe fiero.
Nel mentre si è sviluppata la storia del detective John
Lowe, che dovrebbe essere il nostro legame al mondo reale, e il misterioso killer. In realtà si è
scoperto molto più di quello che mi aspettavo su di lui, e questo mi fa pensare
ci sia molto più di quello che immagino ancora da vedere. Soprattutto quando
sappiamo che Lowe si è appena trasferito nello stesso hotel del figlio
scomparso creduto-morto-ma-in-realtà-vampirizzato.
Un altro dettaglio che mi è saltato all’occhio è come i
dialoghi ( dell’arco narrativo all’interno dell’hotel) siano stati ridotti al
minimo. Erano quasi solo le immagini a parlare. E un’ ottima scelta musicale.
Tirando le somme, è stato un pilot soddisfacente, con quel
brivido che mi era mancato in Coven e Freak Show. Stando agli spoiler, poi, non
abbiamo ancora visto niente. Io riconfermo la prenotazione all’hotel, voi?
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