I
prigionieri sono tornati. Tra political context,
Omero e vecchi volti amici, andiamo quindi a scoprire Ogygia,
il primo episodio del revival
di Prison Break andato
in onda negli Stati Uniti mercoledì scorso, commentandone pregi e
difetti e mettendo luce su tutti i preziosi altarini che difficilmente vi sarete lasciati scappare.
ATTENZIONE: SPOILER!
Sono
passati sette anni dalla conclusione di The Final Break,
il deludente TV Movie che
avrebbe dovuto sciogliere tutti i nodi sulle quattro stagioni attraverso le quali i due fratelli Scofield e Burrows si sono
trovati a fuggire da nemici di fumo, giostrandosi tra i fili di un
disegno molto più grande di loro. Difficile dimenticare una seconda
stagione che non si faceva problemi a mettere in mezzo la presidenza
degli Stati Uniti d'America, o l'epilogo finale con il disvelo della
fantomatica Compagnia, un drappello di magnati con le mani in pasta
in ogni genere di affare, disposti all'inverosimile pur di tenere lontano i protagonisti dai loro segreti.
Sette anni da quando Michael Scofield è morto. In quello che la Fox è riuscita
a farci sembrare un lontano 2010 abbiamo lasciato i protagonisti
uniti nel dolore per la perdita della mente del gruppo, “husband,
father, brother, uncle and friend”.
L'eredità di Michael consisteva nell'avere ottenuto ciò per il
quale tutti avevano combattuto e perso qualcosa, nella dura lotta
contro le ombre alle quali prima facevamo riferimento. L'oggetto della loro vittoria
è anche l'oggetto di tutto lo show,
la chiave senza la quale il concept
stesso della serie non avrebbe avuto ragione d'esistere. Parliamo
ovviamente della libertà. L'osannata libertà che Michael stesso
cita nel suo commovente discorso finale, quando si rivolge in video
agli amici sopravvissuti. Alla moglie Sarah, al figlio Mike, al
fratello Lincoln, al nipote LJ e agli amici che lo hanno accompagnato
per tutta l'avventura.
Da qui dovremmo partire e da qui siamo partiti tutti quanti, dopo l'annuncio che questa quinta stagione si sarebbe
fatta per davvero. Come giustificare il fatto che Michael è vivo? Ma
soprattutto, come non rovinare ciò che è stato costruito con fatica
in un lavoro durato quasi cinque anni?
Un
lavoro costruito con fatica, sì. Perché una cosa che è difficile
affermare di Prison Break
è che sia stata una serie credibile sotto ciascun aspetto e in ogni
suo episodio. Non a caso, la sua produzione si colloca temporalmente in quell'epoca in divenire, dove agli insegnamenti
di Lynch e Whedon avevano fatto fede prodotti resi celebri dalla loro
cosiddetta complessità narrativa, quali Alias,
24 e Lost.
Prison Break è figlio dei suoi
tempi e, così com'è capitato spesso a un personaggio come Lincoln, non sempre è
stato in grado di cogliere al volo i suggerimenti fraterni. Ne è conseguita
un'ambientazione in certi momenti sterile e personaggi appiattiti e
stereotipati, soprattutto nel caso di quelli femminili.
Ciononostante,
noi sostenitori di Scofield e compagnia siamo rimasti incollati agli
schermi fino ai titoli di coda finali, superando alti e bassi e
chiudendo un occhio nelle parti sulle quali lo spettatore odierno
avrebbe avuto qualcosa da ridire. Noi, gli stessi che hanno
arricciato il naso quando è stato diffuso il primo trailer
del revival che mostrava Michael ancora dietro le sbarre e che,
tuttavia, abbiamo atteso col fiato sospeso l'arrivo di questa premiere,
alla quale possiamo finalmente dedicare lo spazio meritato.
Ogygia
non lascia dubbi. Michael Scofield è ancora vivo e qualcuno
dall'alto lo ha tenuto lontano da casa per sette lunghi anni, facendo
in modo che venisse cancellato dal corso della storia. Non potevamo
che restare piacevolmente sorpresi quando abbiamo scoperto che il
primo a ricevere la notizia è stato l'amato e odiato Theodore
“T-Bag” Bagwell, interpretato da Robert Knepper, del quale abbiamo da poco riportato un'intervista sull'esperienza del suo ritorno nello show. T-Bag ha, come di diritto e da tradizione, una sua personale
storyline che scorre
in parallelo alle vicende degli altri protagonisti. Non è un segreto
come egli sia stato infatti uno dei personaggi meglio caratterizzati
e quindi più riusciti dell'intero show,
al punto da riservargli un episodio speciale nella prima stagione
dello sfortunato spin-off
Breakout Kings (I
Signori della Fuga, 2011-2012)
dove riuscì a fuggire di galera per poi essere “ripescato”. Ed è
in galera che lo ritroviamo in questo primo episodio, ma sul punto di essere rilasciato per
volere di un misterioso benefattore, il quale si propone anche di
apportare al criminale una protesi biomeccanica, arma che non può
che avere gravi conseguenze in mano
a uno come Bagwell. A questi è affidato inoltre l'incarico di
informare Lincoln Burrows che il fratello è vivo. Le informazioni
che abbiamo al momento su ciò che ha fatto Lincoln in questi sette
anni vanno decisamente a sfavore della serie, rievocando i fantasmi
di una monotonia di tematiche alla quale abbiamo accennato all'inizio
di questa recensione. Lincoln è infatti tornato alla sua vecchia
vita, in fuga da debiti con persone di malaffare che, sorpresa delle
sorprese, minacciano di farlo fuori. La
notizia che Michael è vivo, tuttavia, garantisce un capovolgimento
degli assetti e delle situazioni, così la vita di Lincoln è pronta per un nuovo capitolo. Egli è piegato a tal punto dalla perdita del
fratello da non riuscire a ignorare il campanello d'allarme
lanciatogli da T-Bag. Non esita quindi a informare la vedova
Scofield, Sara, la quale intanto si è risposata con un tale Jacob,
destinato con ogni probabilità a fare una brutta fine. Sara vive
inoltre con Michael “Mike” Jr., il quale è consapevole
dell'esistenza di un padre che non ha fatto in tempo a conoscere e, a
detta della madre e forse proprio per colpa sua, ha imparato a venerarlo come una divinità.
Sara invita il cognato a riconsiderare le parole di T-Bag, ma Lincoln
Burrows non è mai stato un uomo capace di fermarsi a pensare, mentre
ad agire d'impulso si è sempre dimostrato il migliore. Ed ecco Lincoln sulla bara scoperchiata del fratello, dentro alla quale
non c'è alcun corpo. È vuota. Lincoln non ha comunque nulla, se non
alcuni indizi reperiti dalle carte di T-Bag che lasciano intendere che quest'ultimo potrebbe trovarsi
nello Yemen. Qui entra poderosamente in gioco il political
context di cui accennavamo
all'inizio. In Prison Break
il contesto politico ha sempre avuto un certo rilievo ma, a parte
alcune eccezioni risalenti alla seconda stagione, gli autori sono
sempre stati abbastanza prudenti da non scendere mai nel merito.
Forte del delicato panorama mondiale contemporaneo, Prison
Break risorge intervenendo a
pieno titolo nello scenario bellico e religioso mediorientale. Un tema
decisamente scottante e pericoloso, soprattutto se prodotto da degli
americani. Un'ambientazione ardita e sensibile che può
sfociare nel soggettivismo a stelle e strisce o comunque in un
circolo vizioso e approssimativo. Tutto questo ci auguriamo venga
evitato e in questo senso fa ben sperare la figura di Benjamin "C-Note" Franklin, al
quale Lincoln si rivolge per localizzare Michael. Franklin si è ora convertito
all'islam e a quella
che egli definisce la vera jihad, interiore e spirituale. Stando a questo primo episodio, il
personaggio di Franklin e la sua inaspettata trasformazione sono un
segnale in qualche modo positivo. Un prodotto americano che ci tiene
a fare, se pur in modo didascalico, le opportune distinzioni tra fede
islamica ed estremismo non può che render noto un tentativo di
sensibilizzazione nei confronti di un tema che va trattato con precauzioni e consapevolezze non da poco.
Per
il format per il quale
è stato pensato, Prison Break
non poteva ambientare chiaramente le sue vicende in Siria. Serviva un
contesto meno sotto le luci dei riflettori, dove tutto il resto poteva fare da cornice senza risultare
scontato e banale.
Da qui Ogygia, la prigione dove Michael risulta
rinchiuso. Da qui la nuova impostazione della serie a stretto
contatto con l'Odissea
di Omero. Un'opera che, ad essere onesti, non è del tutto estranea
allo show. È noto
come la quarta stagione facesse già riferimento ai canti, con le sei
teste del mostro marino Scilla e le tracce lasciate in merito dal
padre di Michael e Lincoln, tratte direttamente dal testo originale.
Con questa nuova stagione gli autori sembrano voler seguire la linea
della citazione letteraria e lo fanno in maniera ancora più
esplicita. Ogygia infatti non è solo una prigione, bensì prende il
nome dall'isola dove Ulisse passa sette anni della sua vita in seguito al celebre viaggio di ritorno dalla Guerra di Troia. Così come Sarah non abita
col figlio in una città qualsiasi, bensì a Itacha, nello stato di
New York. Ciliegina sulla torta, per oscuri motivi Michael si rifiuta
davanti al fratello di ammettere la propria identità. Si fa invece
chiamare Kaniel Outis. Outis
che, come viene spiegato anche nell'episodio, significa Nessuno. Un signor nessuno che dovrà spiegarci per quale motivo ha fatto affidamento ad una persona come Bagwell per portare avanti il suo indecifrabile piano.
Certo
non mancano riferimenti esterni alla letteratura e interni allo show,
i cosiddetti easter eggs.
Citiamo il cameo del
creatore della serie Paul T. Scheuring nei panni del falso volto
assegnato in rete alla voce “Michael Scofield”, o il comprensivo
rifiuto di T-Bag per le gomme da masticare, essendo stata proprio una
gomma l'ultima cosa lasciatogli al termine della quarta stagione invece d'essere scagionato come tutti gli altri. La comparsa di Sucre non può essere giudicata a sua volta un easter egg,
contando e sperando che egli possa mantenere la promessa e rivederlo nei prossimi
episodi. Pochi minuti della sua performance
sono infatti bastati per sciogliere il cuore dei pochi fan
tentati dal non tornare ad avere nulla da spartire con l'idea del
revival.
È davvero difficile tradire Prison Break
e il primo episodio della quinta stagione lascia intendere che
difficilmente tradirà il suo pubblico. L'equilibrio tra il vecchio e il nuovo
potrebbe davvero essere la chiave per sopravvivere alla resurrezione
tanto sperata e concorrere a un tipo di serialità televisiva che già
oggi non è più quella che era quando abbiamo conosciuto per la prima
volta coloro i quali avrebbero dato vita alla leggenda degli Otto di Fox River.
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