13 REASONS WHY - Intervista a Jay Asher, autore del romanzo da cui è tratta la serie


In attesa del ritorno della discussa serie targata Netflix con una seconda stagione prevista nel 2018, 13 Reasons Why continua a far parlare di sé e, in questo senso, Jay Asher, autore dell'omonimo romanzo pubblicato nel 2007, è stato intervistato da Huffington Post Mexico, sulla genesi del romanzo e sui temi che accompagnano quest'ultimo, per poi approdare nella serie.
Jay Asher, autore del romanzo

-Che cosa ti ha portato a scrivere questa storia all'età di 31 anni?
"Un mio familiare ha quasi perso la vita quando aveva la stessa età di Hannah. Fino ad allora avevo cercato di scrivere libri divertenti per un pubblico giovane, non avevo mai pensato di parlare di ciò. Nove anni dopo mi avvicinai all'idea, pensavo fosse molto potente e molto positivo affrontare questo problema; grazie a quest'approccio si possono ascoltare i pensieri di Hannah e anche quelli rimasti dopo la sua scomparsa (attraverso Clay). Il personaggio non è simile al mio familiare, ma attraverso le conversazioni fra di noi ho capito la sua mentalità e il suo dolore. Penso che ci è voluto del tempo per assimilare tutto. Se avessi scritto di lui subito dopo aver saputo del tentativo di suicidio, non avrei dato la stessa prospettiva alla storia."

-Come ti sei documentato per entrare nella mente di un adolescente?
"Non ho intervistato degli adolescenti. Ho parlato con mia moglie e due amiche e chiesi loro che cosa hanno dovuto affrontare in quel momento.Volevo sapere che cosa si fosse radicato in loro, come che cosa fosse successo loro da adolescente che ancora oggi pensassero fosse di forte impatto. Ho plasmato tutto ciò in Hannah. In qualche modo tutti abbiamo sofferto delle voci e partecipato ad esse, ma quando ho parlato con loro ho capito che esse erano una parte molto importante della loro adolescenza e sono diventate tali anche nel romanzo. Infatti, ho dovuto riscrivere qualche passaggio e ho fatto persino ricerche sul suicidio e la depressione. Mi sentivo un po' strano poichè Hannah seguiva all'incirca uno schema per il suicidio."

-A chi si rivolge il libro?
"È più per gli adolescenti. Lo scrissi perchè ci si potessero identificare e ho anche sperato che gli adulti lo leggessero, ma non è rivolto a loro. Molte volte gli adulti si avvicinano e mi dicono di aver iniziato a leggere il mio romanzo, pensando che avessi dato un approccio troppo melodrammatico, che Hannah avesse esagerato. Sembra che non ricordino che quando loro erano adolescenti, anche loro erano melodrammatici, perchè sperimentavano certe cose per la prima volta."

Copertina dell'edizione Best Sellers di "13 Reasons Why"


-Quale ruolo hai avuto nella serie Netflix?
"Ho partecipato un po' all'elaborazione della prima stagione. Potevo essere coinvolto di più ma non volevo e preferii fidarmi del team. Ho passato molto tempo a parlare con Brian Yorkey e compresi che lui aveva capito il romanzo e pensai 'Se lo capisci bene, il lavoro sarà fantastico'. Mi avevano mandato dei primi copioni, i preliminari e vidi che quello che stavano facendo era buono e dissi 'Non voglio più copioni, vi do la libertà totale di essere più creativi possibile."

-Cosa pensi di coloro che ritengono il libro e la serie favorevoli al suicidio?
"Sapevo che sarebbe accaduto con la serie poichè con il romanzo successe lo stesso. Per dieci anni ho ricevuto dei feedback da parte di adolescenti che trovavano il libro fantastico e di genitori che si sentivano a disagio perchè pensavano di romanticizzare il racconto e persino di renderlo più frivolo. Ma la cosa interessante è che il libro parla da un punto di vista e la serie da un altro e in entrambi i casi la gente dice che non è il modo giusto per affrontare questo tema. Una cosa divertente, visto che non esiste un modo giusto di parlarne, che piaccia a tutto il mondo. L'unica soluzione è non parlarne ed è stato questo il problema. Sapevo che sarebbe accaduto durante il processo di scrittura, sapevo che molte persone avrebbero detto che non avrei dovuto parlarne e altre avrebbero detto che farlo avrebbe peggiorato le cose. In fin dei conti è quello che è successo, ma la soluzione non è non parlarne."



-Cosa ne pensi del cambiamento nel finale? (nel libro Hannah compie il suo gesto ingerendo delle pasticche invece di tagliarsi le vene)
"Mi è sembrata una risorsa visiva molto potente e ho pensato fosse molto bello concentrarsi su questo. Nel libro Hannah ingerisce le pillole e ciò accade prima che Clay iniziasse ad ascoltare i nastri, ecco perchè non lo vediamo. La serie è costruita in un altro modo, si vede la vita di altri personaggi paralleli, non solo di Hannah e Clay. Grazie alla televisione, possiamo vedere questo momento così scomodo. Se fino a quel momento venisse mostrato tutto, ma non avremmo fatto lo stesso col suicidio, avrebbe trasmesso ai telespettatori l'idea che abbiamo ancora paura di parlare di questo tema. Questo aspetto ha portato al cambiamento del finale, decidendo di farlo così perchè fosse più difficile da vedere. È qualcuno che prende una tragica decisione, se fosse una cosa facile da vedere, avremmo in qualche modo romanticizzato la storia, ma se invece si fa qualcosa di molto forte e doloroso, puoi trasmettere questa idea."

-Perchè cambiare la fine del libro? (inizialmente Hannah non doveva morire)
"La prima volta che scrissi la storia, Hannah non prese abbastanza pillole. Questo era quello che accadde al mio familiare e inizialmente doveva essere la fine del libro. Tuttavia, decisi di cambiarlo e che non sarebbe rimasta viva, per rispetto al tema. Non vi sono seconde possibilità. Penso che vada bene leggere il libro o guardare la serie, sperando che Hannah si sarebbe aperta con Clay o con i suoi genitori. Lei ha preso quelle decisioni, ha deciso di non farlo ed è bello vedere che lei avesse tutto a portata di mano e che non chiedesse alcun aiuto. Non lo ha fatto e avrebbe potuto fare molto di più."

-Quale ruolo hai nella seconda stagione e credi che abbiano rovinato il tuo lavoro allungandolo?
"Conosco alcune trame, ma dissi loro la stessa cosa della prima stagione, che non volevo saperne di più. Ho già detto loro tutto ciò che serviva e confido molto nelle persone coinvolte nel progetto. C'era un momento in cui pensai di scrivere un sequel al romanzo ma la mia testa cominciava ad incasinari e pensai di non averne la forza. È vero che possono rovinarlo, è accaduto ad altri, e questa è un'altra ragione per cui non volevo scrivere il sequel. Sentii che avevo scritto tutto quello che volevo e preferivo concentrarmi su altri progetti. Fin dall'inizio sapevo che c'era una porta aperta a una seconda stagione e quando sapevo che avrebbero dovuto farlo, ho cominciato a sentirmi nervoso perché avrebbero potuto rovinarla, ma avrebbero potuto rovinare la prima e non l'hanno fatto. Quindi, come fan della serie e dei creatori, sono solo curioso di vedere quanto lontano la porteranno. Avrebbe potuto finire tutto nella prima stagione e la storia sarebbe stata compiuta, ma si può raccontaredi più, ci sono molti temi da affrontare."

-Perchè hai scelto Hanna, giovane sveglia che aveva successo fra i ragazzi e con una famiglia strutturata, come protagonista della storia?
"Penso che con il suicidio ci siano molti stereotipi. Quando vuoi disegnare qualcuno molto depresso e con istinti suicidi, tutti abbiamo un'immagine molto specifica. A volte l'immagine corrisponde alla realtà, ma se vediamo solo che significa che andremo a trascurare tutte quelle altre persone che soffrono. Forse diciamo 'oh, che bello", "oh, quanto è intelligente'. Sicuramente anche lei sta attraversando quei momenti difettosi ma sicuramente li sopporta e li porta con se'. Questo è il caso di Hannah ed è il caso del mio parente. Lui la guardò e disse 'Questa persona ha tutto, tutto gli va molto bene e può gestire tutto ciò che succede attorno a lui'. La gente non si è aperta a lei e questo era il problema, non si sentiva capita."

-Perchè è così difficile parlare del suicidio?
"La nostra società non è la migliore quando si tratta di affrontare questi problemi, la gente si sente a disagio quando dicono di essere depressi. Lei si sente a disagio e pertanto non ne parla, aumentando la sua "palla di neve". Da quando ho pubblicato il libro molte persone mi hanno avvicinato e mi hanno detto di sentirsi capiti per la prima volta. Ciò significa che dovevano sentirsi capiti, ma idealmente avrebbero sentito di essere capiti prima di leggere il romanzo. Questa è una cosa molto positiva che stavo cercando quando l'ho scritto ed è proprio quello che è accaduto al mio familiare: aveva molti probelmi dentro ma non si sentiva sicuro a tirarli fuori per qualcuno. Anche altre persone sono venute a dirmi che si identificano con il ragazzo e che il romanzo li ha ispirati ad avvicinarsi alla persona che credevano stesse soffrendo e chiederle se andava tutto bene o cosa stesse succedendo. Clay è molto simile a come ero io alla scuola superiore, se qualcosa non aveva a che fare con me, non mi impegnavo, nè dicevo nulla. È difficile chiedere a qualcuno 'stai bene?', ma dobbiamo farlo. Se qualcuno non sta bene e non lo sta raccontando, è necessario dirgli che deve parlare con qualcuno e che deve parlare con noi."

Katherine Langford, interprete della protagonista Hannah


-In che misura dobbiamo pensare alle conseguenze delle nostre azioni? (13 motivi che hanno portato Hannah a porre fine alla sua vita)
"Si trova in tutte le parti della storia. Hannah pensa che la maggior parte delle persone con cui abbia parlato facesse qualcosa di irrilevante o che non era tanto grave. Ma quello che volevo mostrare nel libro è che quando trattiamo le persone bene o male è impossibile sapere quali siano le conseguenze. Tutti noi capiamo che le nostre azioni hanno delle ripercussioni, ma non è solo ciò che si fa, è anche come la persona lo accetta, tenendo conto del fardello di tutto quello che portava nella sua vita."

-Quali sono state le reazioni migliori e peggiori a seguito della pubblicazione del libro?
"Una delle cose più meravigliose che mi sono accadute è che giovani che avevano istinti suicidi mi hanno avvicinato per dirmi che adoravano Hannah, che si identificavano con lei e che erano consapevoli di tutto ciò che ha dovuto fare per scavarsi la propria tomba, per peggiorare la propria situazione. Queste persone si domandavano perchè lo facesse quando aveva tante soluzioni a portata di mano. Si può chiedere aiuto nel nostro ambiente e per quei giovani vedere Hannah e capire cosa le è successo li ha incoraggiati a farlo. Un'altra cosa che mi è accaduta è che molti genitori mi hanno raccontato che la storia, sia nel romanzo che nella serie, hanno ispirato loro a sedersi coi loro figli e parlare con loro di questi temi. Loro davano per scontato 'mio figlio se ha un problema viene a cercarmi' ma la verità è che molti figli non si sentono così sicuri. Come adulti bisogna chiarire che possono avvicinarsi loro e dire che cosa vogliono. Ci sono anche dei genitori che dicono 'Non voglio che mio figlio guardi la serie o legga il libro perchè non voglio che abbiano certe idee' e in quel caso ciò che fanno è bloccare quel tipo di dialogo e dicono ai loro figli 'Questo non è un problema e pertanto non ne parleremo'. Lo fanno perché è un argomento scomodo e lo capisco, ma sarà sempre scomodo. Non importa se ti piace il libro o la serie, ne parli perché sarà positivo. Puoi avvicinarti a tuo figlio e dirgli che non ti piaceva per niente e chiedergli cosa ne pensa lui. Ciò aiuta a comunicare che non abbiamo paura di parlare del tema e penso che sia la migliore reazione che possa provocare il libro."

-Che preoccupazioni hai come padre di un bambino di sette anni?
"Quando sono andato alle superiori erano momenti facili, non ho affrontato molti problemi, ma da quando il libro è stato pubblicato e fatto il giro, vedo che ora le persone sono più stressate a causa di Internet. Il cyberbulling è qualcosa che gli adulti non hanno dovuto affrontare quando andavano al liceo. Le cose stanno cambiando, non possiamo pretendere che tutto rimanga lo stesso, perchè non è così. So che mio figlio dovrà affrontare tutto quando arriverà il momento. Fortunatamente, scrivendo questo libro ho imparato molto sugli adolescenti e quanto sia importante sapere che siamo lì per loro, per sostenerli, specialmente quando sei un genitore. Questo è certamente quello che voglio fare, che mio figlio veda chiaramente che lui può rivolgersi a me."

Fonte: Huffington Post Mexico

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Articolo di Ada Bowman

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