HOMELAND- Recensione 3x06 "Still Positive"

Non smetterò mai di ripetere che Homeland va visto con gli occhi di uno scienziato. Per quanto possa entrare sotto pelle...è necessario distaccarsi per non cadere nelle trappole della storia.




Still Positive conferma ancora una volta l'importanza di dare un titolo giusto all'episodio e l'estrema cura ai dettagli.

La puntata di apre con Quinn, Max, Fara e Saul che cercano di rintracciare la povera Carrie, rapita da Javadi.
La macchina della verità. Nella prima stagione vi è stata una puntata in cui Brody è riuscito ad ingannarla. Ma Carrie?
Mai mi sarei immaginata che il potere di Javadi si sarebbe ridotto a niente. Estremamente precisa la scena in cui il rumore della macchina detta l'ansia che il telespettatore sta ricevendo.
Ed ecco la svolta...Javadi non è altro che un "enemy of your own state".

Ancora una volta tutto viene sconvolto, rovesciato, manipolato...ancora una volta gli autori ci hanno fregato.
Tutto questo piano va avanti da tempo.
"You bombed the CIA 12/12...We got to work in the early hours of 12/13"
Dettagli. Non sono mai stati così importanti più di adesso. Il tempo.

Sono passati tre mesi dal 12/12 e il fatto che in questo episodio hanno praticamente ricordato il tempo trascorso non può che farmi immaginare di aver davanti una corda che gli autori ci hanno lanciato.
Carrie è incinta. Il suo cassetto era pieno di test di gravidanza e non riuscirei mai a credere che il padre potrebbe essere il ragazzo del supermercato...incontrato 58 giorni dopo l'attentato.
Homeland non lascia nulla al caso e non ha mai insistito tanto sul dare indizi riguardo il tempo.
Quindi...io spero.


Non è stata una puntata facile. Che nulla è come sembra l'avevamo capito...ma creare dei contrasti così marcati e sconvolgerli è qualcosa di inaspettato.
Sto parlando principalmente di come Javadi passa da avere il potere completo al perderlo in una sola puntata. Passa da rapitore a prigioniero ma lo fa a suo modo. Decide di compiere l'ultimo atto prima di esser nelle mani di Saul. L'omicidio della sua ex moglie è stato tecnicamente stupendo quanto umanamente cruento. Non ha usato una pistola o un coltello...una bottiglia.
Cosa fare? Sconvolgere ancora di più. "We weren't there!"
Saul al comando decide di fare a suo modo anche se non giusto.
Ma è proprio qui il bello...cosa è giusto e sbagliato quando si tratta di portare a termine l'operazione?
Saul diventa freddo perchè è l'unico modo di vincere questa battaglia e deve esserlo per tutti.
L'espressione di Saul al telefono con Quinn e Carrie...con le urla del bambino di sottofondo...non fanno altro che dividerci tra il giusto e sbagliato, tra i sentimenti e il lavoro, tra la vincita e la perdita.
Sono curiosa di vedere, magari anche con flashback, il rapporto tra Saul e Javadi e di come quest'ultimo sia diventato l'animale che vediamo.
A sei puntate dall'inizio abbiamo vissuto episodi in cui tutto viene messo in dubbio e, in realtà, solo adesso ha inizio l'operazione.


Dall'altra parte della storia c'è Dana. Sempre più presente, sempre più ferita.
E' come se gli autori stiano creando due blocchi, pro e contro Brody, che percorrono strade diverse, opposte ma che alla fine dovranno incontrarsi nel mezzo.
Dana Brody è diventata Dana Lazaro. Bisogna chiamare le cose con il loro vero nome. Brody non è più il cognome che rappresenta Dana. E' una persecuzione senza fine e quindi lei decide di scappare da esso.
Passiamo dall' "I'm okay" finto dello scorso episodio a "I can't live this life anymore. It nearly killed me"
Dana l'ha ammesso. Ha ammesso le sue paure, la sua rabbia, la verità. Jessica non poteva far altro che lasciar andare sua figlia e sperare che possa star finalmente bene. Anche Mike ha fatto lo stesso. Non servivano parole, è bastato solo un abbraccio. Sono una famiglia ferita, distrutta che sta cercando di risorgere a suo modo.


Ci sono ottimi prodotti in circolazione e Homeland è in cima alla lista. Non è mai banale, scontato, prevedibile. E' sempre attento, perfetto.
Esagero? Forse...ma ho le mie ragioni.

Di Dana Ghanoum



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Articolo di Dana Ghanoum

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