AMERICAN HORROR STORY - Recensione dell'episodio 7x10 "Charles (Manson) in Charge"



A meno un giorno dal finale di una stagione apprezzata e discussa, andiamo a ricapitolare e commentare quanto visto nel decimo episodio, andato in onda la scorsa settimana.

Kai non ha più i suoi capelli. Questo è certamente uno degli aventi dell’episodio Charles Manson in Charge che ha colpito i veri fan. Tornando seri (se invece volete continuare e riderci sopra non dimenticatevi di recuperare la nostra Receironica!) il decimo episodio della settima stagione di American Horror Story è stato all’altezza del suo ruolo, ovvero quello di prepararci alla grande chiusura.

Sono successe tante cose in Charles Manson in Charge, molte delle quali sono legate al nome proprio incluso nel titolo dell’episodio. Come Kai tiene a specificare ai suoi uomini durante l’ora delle (american horror) storie, Ryan Murphy e compagnia ci hanno tenuto per ultima la vicenda più celebre e più cruente di tutte. Nel 1969 i membri più fedeli della Family di Manson, qui interpretati dai protagonisti della serie (Billie Lourd, Sarah Paulson, Billy Eichner e Leslie Grossman) si recarono nella villa di Sharon Tate, moglie del regista Polansky, e uccise crudelmente lei, il bambino di cui era in attesa, e gli ospiti che soggiornavano nell’abitazione. La particolarità di questa ricostruzione sta nella già vista, ma qui a livelli estremi, soggettività con la quale Kai racconta la sua interpretazione e la sua immedesimazione con l’accaduto. Allora Sarah Paulson/Ally interpreta Sexy Sadie, eletta di Manson, così come Billie Lourd/Winter veste i panni di colei che di fronte a un giudice tradirà il cult leader, decretandone l’incarcerazione.

Non è un caso che Kai associ la traditrice della Family con sua sorella. Solo poche scene prima abbiamo infatti assistito a un tentativo da parte di Winter di far fuggire Beverly. Non fidandosi della ragazza, Beverly non ha accettato. D’altronde come poteva fidarsi? Se Beverly riversa nello stato mentale attuale e proprio grazie alla plateale pugnalata alle spalle con la quale Winter è riuscita ad accusarla per l’omicidio di Samuels, da lei stessa compiuto. Per la prima volta, invece, Winter era intenzionata a far fuggire la compagna e poi fuggire lei stessa, dopo aver chiesto il permesso al fratello.

In un intensa scena dove Kai, ormai totalmente immedesimato nella “supremazia divina” di Manson, si fa rasare a zero dalla sorella, Winter gli spiega le proprie intenzioni e lui alla fine sembra accettare di lasciarla andare, per poi rivelare subito dopo di avere trovato il biglietto con il quale, secondo la sua ormai inaffidabile ricostruzione dei fatti, a causa della paranoia dovuta a sua volta dalle pillole che prende, Winter avrebbe pensato di fuggire già da prima.

Facendo un salto indietro, assistiamo ad Ally mentre asseconda le pazzie di Kai, prima trovando una cimice che noi spettatori credevamo fosse solo frutto della fantasia del leader, poi salvandolo da Babe Babbit. Con uno dei flashback ai quali Cult ci ha abituati, scopriamo che è la donna ad avere dato inizio a tutto, affidando a Kai il compito di fare insorgere con violenza le donne di tutto il mondo, secondo il manifesto di Valerie Solanas. Com’era facile immaginarsi, Kai è andato oltre e, complice il suo egocentrismo, la vittoria di Trump e l’appoggio dei suoi seguaci, non è più interessato a mantenere la parola data. Pronta a ucciderlo, Babe viene invece freddata da Ally.

Il piano del personaggio della protagonista femminile, interpretata da una magistrale Sarah Paulson, raggiunge poi un nuovo livello quando, alimentata per bene la pranoia di Kai, riesce a convincerlo del tradimento della sorella e quindi della sua esecuzione. La fine di Winter, da molti attesa, è stata volutamente tra le più lente e sofferte della stagione. Non solo quello di Billie Lourd è stato un personaggio portante per i dieci episodi dei quali ha fatto parte, bensì perché il suo sacrificio rappresenta l’ultima trasformazione di Kai in leader supremo, sulla scia del suo maestro immaginario Charles Manson, che con una lama trafigge persino il fantasma del fratello Vincent.

In un’ultima scena, strabuzziamo gli occhi quando scopriamo che le cimici non erano né frutto dell’immaginazione di Kai e nemmeno messe apposta da Ally. La talpa esiste e porta il nome di Speedwagon, il più fedele dei fedeli della setta.

Pronti per il finale? Noi di Lost in A Flashforward non lo siamo affatto!


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Articolo di Fabio Scala

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