L’ultima edizione degli Emmys Awards, gli Oscar televisivi, ha visto
il trionfo di Game of Thrones che ha
portato a casa ben 12 premi totali staccando di molto anche i concorrenti più
agguerriti come Transparent - che ha
visto premiata per la prima volta una produzione Amazon - e Veep sempre della HBO come GoT.
Guardando la top 3 dei premiati stupisce la presenza, dopo GoT e la miniserie Olive Kitteridge (ancora HBO), la presenza di American Horror Story: Freak Show.
Perché parlo di stupore? Nessuno mette in dubbio la popolarità di GoT e, anche se in misura minore, di AHS. Specialmente la prima serie sta
segnando questi recenti anni televisivi per complessità narrativa, ricchezza
visuale e mescolanza di generi, il tutto unito ad una voglia di rischiare e
stupire specialmente parlando di/mostrando sesso e violenza. AHS
ha portato ancora oltre questa sfida proponendo un incubo gore, sanguinolento e
barocco.
Però i premi non dovrebbero essere una gara di (sola) popolarità: si
punta a cercare il prodotto originale e avvincente ma, anche, si tende a
premiare la cosiddetta tv di qualità.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di “qualità”? Vi è da anni un dibattito
ampissimo sull'argomento. Senza scendere nello specifico delle ricerche sull'argomento,
tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, si sono gettate
le basi per elaborare una serie di criteri che, se rispettati, avrebbero individuato
un prodotto di qualità per il piccolo schermo. Un programma di qualità, tra le
altre cose, avrebbe dovuto presentare uno sviluppo narrativo originale e ben
strutturato, una elaborazione dei generi originale, possibili accezioni “autoriali”,
identificate non nella figura del regista - come avviene nel cinema -, ma in
quella del creatore/produttore di una serie che è spesso anche sceneggiatore e
regista di alcuni episodi della stessa e che si crea una crew di fiducia di registi e sceneggiatori con i quali collabora frequentemente creando un gruppo creativo affiatato e allineato alle sue idee.
Parte da qui lo stupore che ha accompagnato la mancata premiazione di Mad Men di Matthew Weiner come serie, laddove Jon Hamm è
stato premiato per il suo lavoro come protagonista. Perché Mad Men ha incarnato la tv di qualità per eccellenza, con il suo
ampio cast di altissimo livello, una regia cinematografica che strizza l’occhio
ai grandi maestri del cinema, atmosfere noir, una cura ossessiva per l’ambientazione
storica, nella scenografia e nella narrazione, una struttura narrativa
intimista che offre poco all'azione a favore dell’introspezione, un
protagonista eternamente in bilico tra bene e male. Un po’ quello che era stato
The Sopranos qualche anno prima con
la differenza, non piccola, che The
Sopranos si muoveva comunque nei confini del genere, la mob-story, pur
utilizzandola per esplorare l’animo del protagonista. Mad Men fa a meno anche di questa sovra costruzione andando a mettere in scena un affresco melodrammatico sull'animo umano.
Da questo punto di vista siamo più vicini a Breaking Bad dove il protagonista Walter White viene seguito dallo spettatore nella sua personale discesa all'inferno che poi, sorprendentemente, si trasforma in una rivalsa per la quale non si può non tifare nonostante alla fine ci si ritrovi dalla parte del cattivo.
Walter White, Tony Soprano e Don Draper rappresentano diverse sfaccettature dello stesso tipo di uomo, quello che ha difficoltà a vivere una vita quieta, normale, stabile e decisa, quello che si ribella, che esplode dopo anni di vessazioni - reali o immaginate -, quello che con difficoltà naviga nella sua stessa vita.
Non a caso un libro, Difficult Men: Behind the Scenes of a Creative Revolution: From The Sopranos and The Wire to Mad Men and Breaking Bad di Brett Martin, li accomuna e li analizza poiché l'eroe sfaccettato, non necessariamente positivo, non necessariamente negativo, attrae lo spettatore e lo spinge a seguirlo per anni/stagioni.
Da questo punto di vista siamo più vicini a Breaking Bad dove il protagonista Walter White viene seguito dallo spettatore nella sua personale discesa all'inferno che poi, sorprendentemente, si trasforma in una rivalsa per la quale non si può non tifare nonostante alla fine ci si ritrovi dalla parte del cattivo.
Walter White, Tony Soprano e Don Draper rappresentano diverse sfaccettature dello stesso tipo di uomo, quello che ha difficoltà a vivere una vita quieta, normale, stabile e decisa, quello che si ribella, che esplode dopo anni di vessazioni - reali o immaginate -, quello che con difficoltà naviga nella sua stessa vita.
Non a caso un libro, Difficult Men: Behind the Scenes of a Creative Revolution: From The Sopranos and The Wire to Mad Men and Breaking Bad di Brett Martin, li accomuna e li analizza poiché l'eroe sfaccettato, non necessariamente positivo, non necessariamente negativo, attrae lo spettatore e lo spinge a seguirlo per anni/stagioni.
Andando oltre i gusti personali, ciò che emerge da questo trend è come la tv di genere, normalmente relegata ad un livello inferiore rispetto a quella di qualità come comunemente percepita, sta vivendo una fase d'oro dove assurge allo stesso livello dei prodotti alti. La lunga serialità, la serialità dei network, la serialità di genere, conferma il suo vigore poiché anche se HBO, Showtime, AMC, Netflix, Amazon e company stanno conquistando anno dopo anno sempre più forza, la base della serialità è sempre quella delle origini che faceva affidamento sui generi e si dipanava sulla lunga distanza. I nuovi network via cavo e a pagamento hanno fatto propria questa lezione e l'hanno portata ad un livello più alto, principalmente per un vantaggio economico. Un episodio dei Sopranos costava mediamente quanto un film a medio budget potendo, quindi, contare su tempi più lunghi di produzione e su una maggiore cura dei dettagli. Ma una epoca d'oro la si riconosce non dai picchi ma dalla media, dall'autorialità diffusa anche nei prodotti di consumo che si sviluppano su 22/24 episodi a stagione, per più stagioni, magari senza poter ricorrere a grandi scenografie, migliaia di comparse, CGI di primo livello.
In questa diffusione di qualità non stupisce, quindi, che un prodotto di genere superi uno alto, poiché alla fine dei giochi, lo spettatore apprezza un prodotto alto ma cerca anche il coinvolgimento, il divertimento, lo sconfinamento nel trash che da vita ai cosiddetti guilty pleasure e ai fenomeni cult.
I network via cavo e a pagamento stanno manipolando, e lo faranno sempre più, il panorama tv contemporaneo, ma la qualità che riversano nel piccolo schermo ha effetti anche sui fratelli minori dei network generalisti. E noi spettatori ne guadagniamo!
Per approfondire:
Bryan Bishop, Emmys 2015: Game of Thrones steals Mad Men's thunder with
record-setting wins, in TheVerge.com
Eliana Dockterman,Why Game ofThrones won over Mad Men at the Emmys, in
Time.com
Alan McKee, Why do I love television so very much?, in Flowtv.org
Willa Paskin, The 2015 Emmys reminded us that the Emmys can be good tv, in Slate.com
Willa Paskin, The 2015 Emmys reminded us that the Emmys can be good tv, in Slate.com
James Poniewozik, Emmy Awards 2015: A show for a 'peak tv', blockbuster era, in NYTimes.com
Scott Timberg, Mad Men was robbed: Why did Emmy
voters reward Game of Thrones over Matthew Weiner's quiet gem?, in Salon.com
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1 commenti:
Bellissimo articolo, concordo con la tua analisi, che ho trovato acuta e intelligente. E recupererò assolutamente Mad Men!
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