Siamo rimasti indietro con le recensioni
di American Horror Story, ma c’è anche un lato positivo.
Oltre a esserci tenuti in pari con il watching degli episodi siamo stati infatti attenti a captare il mood generale degli
spettatori, le loro impressioni e il loro parere sull’ottava
stagione per poi contraddirli adesso in una sola recensione.
A dire il vero Apocalypse sta
piacendo molto anche a noi, ma da lì a esultare alla migliore
stagione di AHS , o al ritorno di qualcosa che non è certo
essersene mai andato, di acqua sotto ai ponti ne passa parecchia. La
volontà critica ci spinge anzi a storcere il naso di fronte a una
serie che improvvisamente sembra contorcersi su se stessa dopo la
coraggiosa scelta di rilanciarsi con due stagioni, Roanoke e
Cult, che tanto avevano da dire e attraverso le quali molto si era reinventata,
nonostante l’allontanamento dalla serie di una considerevole fetta
di pubblico emotivamente vincolata (o limitata) alle suggestioni di
Asylum e Coven. Gli stessi spettatori che sono ora richiamati
all’appello con una serie ufficialmente all’insegna del
crossover ma con un risultato finora non molto distante dal
mero fan service, da una serie cioè di regali ai fan di
Murder House (tra cui chi sta scrivendo), Coven e
addirittura Hotel, che sembrano influenzare in maniera
non trascurabile il potenziale di una stagione tanto attesa come Apocalypse, se non
addirittura la natura stessa dello show.
Il format antologico di AHS è
stato in realtà messo in discussione già nelle serie passate.
Ricordiamo il background di Pepper intelligentemente
intrecciato alle vicende di Freak Show, o i personaggi della
Paulson in grado di attraversare le stagioni alla pari di Cooper con
i piani dimensionali di Twin Peaks. Ryan Murphy e famiglia
sono sempre stati ben consapevoli dell’universo narrativo messo in
piedi, una qualità che non abbiamo mai mancato di rimarcare, ma questa è certo la prima volta in cui AHS cessa di essere
un’antologia per trasformarsi definitivamente in una via di mezzo tra un sequel
e uno spinoff di almeno quattro stagioni su otto.
Dopo Forbidden Fruit, il terzo e
ultimo episodio da noi recensito, in pieno stile AHS le cose
hanno preso una strada del tutto nuova. Gli occupanti dell’Avamposto
sono tutti morti e la Congrega di streghe capitanate dalla Suprema
Cordelia Goode hanno fatto il loro glorioso ritorno riportando in
vita le loro sorelle Mallory, Coco e Dinah. Da questo momento in poi
il plot fa un salto indietro e ci racconta come le strade di
Michael Langdon e della Congrega di si sono incrociate. Gli
Stregoni hanno visto in Michael e nei suoi poteri senza eguali
l’occasione perfetta per sovvertire il matriarcato delle Streghe e
imporre il primo Supremo di sesso maschile. Michael dimostra tuttavia di
essere molto più che un semplice Stregone, se pur il più forte di
tutti, e di essere legato in maniera diretta alle forze del male. In
questo lo show ha soddisfatto le vere aspettative degli amanti
della prima stagione, confermando i sospetti che Michael fosse
effettivamente l’Anticristo in persona. Comincia uno scontro di
poteri tra sostenitori e detrattori del nuovo Supremo e la stessa
Cordelia si trova a mettere in discussione le proprie convinzioni,
soprattutto quando Michael prova di essere in grado di strappare
Queenie dall’hotel Cortez, laddove Cordelia aveva tentato invano più e più volte.
Oltre a Queenie tornano nel mondo dei vivi anche Madison, liberata
dal mondo prigione nel quale era stata segregata, e Misty Day, che
era morta nel tentativo di superare le Sette Meraviglie per
confermarsi degna erede di Fiona Goode.
Presto alcuni Stregoni, tra cui John
Henry Moore (Cheyenne Jackson), si rendono conto che il potenziale Alpha di Michael Langdon va ben al di là delle loro aspettative.
John Henry viene assassinato da Maid (Kathy Bates) ma Cordelia viene
comunque informata dei dubbi interni alla congrega degli Stregoni da
parte di Behold, il quale viene inviato insieme a Madison a indagare
le origini del loro nemico. Qui ha preso piede uno degli episodi più
attesi, il ritorno alla Murder House e il ritorno di Jessica
Lange nei panni dell’ormai mitologica Constance Langdon. Il
risultato delle indagini era abbastanza telefonato e comunque credibile, ma a riuscire a
infastidirci è stata la necessita di tirare le fila di un plot
che era perfetto se lasciato in sospeso. Se da un lato andava
spiegata l’infanzia di Michael, dall’altra non tutti sentivamo il
bisogno di vedere conciliata l’armonia in famiglia Harmon. Le questioni in sospeso il fulcro delle storie di fantasmi. Tolte quelle non ci sono più fantasmi di cui interessarci.
Ciononostante il piano nostalgia di
Apocalypse sta riuscendo alla perfezione e, visto l’entusiasmo
di buona parte del pubblico, forse Ryan Murphy ha visto ancora una
volta parecchio lontano rispetto a tutti noi. Il dubbio su cosa
rimanga di questa stagione una volta tolto il fattore crossover esiste e difficilmente si scollerà dai nostri pensiamo. Restiamo tuttavia pronti a farci sorprendere come solo
una serie come American Horror Story è sempre stata in grado
di fare.
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