AMERICAN HORROR STORY - Apocalypse, la fine del mondo di una serie?




Dopo settimane dalla conclusione dell’ottava stagione di American Horror Story entro nel merito facendo lo sgambetto a uno show che da quasi dieci anni arricchisce il mio personale palinsesto filmico e seriale e al quale ho sempre riservato un posto speciale nella mia pur opinabile classifica. Per dirla in altre parole, normal series scared me. Questo perlomeno fino all’anno scorso.

Con American Horror Story: Apocalypse Murphy e team hanno forse fatto una prima vera e propria scivolata in anni di racconti folli ed eccentrici, inaspettati e discutibili, ma sempre all’altezza degli standard della serie. L’ottava stagione si impadronisce di una tendenza inaugurata con Freak Show, ovvero gli espliciti collegamenti tra stagioni (ricordiamo la toccante parentesi su Pepper), e ne ha fatto il tema fondante di tutto il nuovo arco narrativo. Uno scacco chiamato nostalgia (Kazan mi perdoni lo scimmiottamento) che affonda le radici nell’inspiegabile opinione negativa che gran parte dei fan ha rivolto alle ultime due stagioni, e all’ineguagliabile successo delle prime tre quattro/cinque.

Apocalypse è, tirate le somme, una stagione fan service che resetta lo statuto antologico della serie e si piega su se stessa, non proponendo a partita chiusa nulla di contenutisticamente stimolante che non sia già stato visto all’interno dello show. Con lo scopo di sfuggire a stagioni come Cult e Roanoke, che io invece ho trovato brillanti e decisamente superiori a una più mediocre Hotel, Apocalypse non strizza un occhio allo spettatore, per dirla alla Eco, bensì li chiude entrambi, accecandosi di fatto completamente.

Il crossover cui gli autori hanno ambito e che avevano in cantiere da qualche anno si è rivelato uno sformato cucinato troppo in fretta, un insieme di suggestioni e rimandi dettati da una strategia di marketing non delle più complesse. Al messaggio critico, sociale e mediatico di stagioni come Roanoke e Cult, Apocalypse predilige un plot senza capo né coda, un tempo del racconto barcollante e stonato, senza parlare della risoluzione finale che sfocia nell’imbarazzante (viaggi nel tempo, seriously?).

Per chi legge le mie recensioni sa quanto mi risulti difficile esprimermi così duramente nei confronti di una serie che dal nostro punto di vista non ha mai fatto passi falsi che non dipendessero dai gusti personali di ciascuno spettatore.

Apocalypse è certo una stagione di successo e, per fortuna, la serie è ben lontana dal fallire. Gli autori hanno dunque raggiunto il loro obiettivo, ma il poblema resta: quest’ottava stagione è ben al di sotto degli standard di cui lo show di Ryan Murphy e Murphy stesso hanno sempre dato prova. Bello l’eclettismo di Evan Peters, di cui nessuno poteva dubitare dopo Cult, straordinaria la Paulson nei panni di uno dei suoi personaggi più amati dal pubblico, così come è emozionante il ritorno di Kathy Bates e soprattutto di Jessica Lange. Una piacevole scoperta anche Cody Fern, che ha dato il volto a un personaggio molto atteso dai fan della serie dai tempi della prima stagione. Nulla basta, tuttavia, a promuovere una stagione che ha deciso di puntare tutto sulle aspettative e zero sullo sviluppo di trama e personaggi. Ridicolo lo spazio e la caratterizzazione dedicata a Zoe e alle altre sorelle, compresa Lily Rabe, la cui Misty Day appare e scompare come niente fosse, così come non spicca ancora una volta Billie Lourd nonostante la cura dedicata alla sua Mallory. Meglio non soffermarsi poi sulla funzione accessoria di Emily e Timothy, sui quali i fan hanno costruito teorie e congetture decisamente più credibili e soddisfacenti rispetto alla strada che gli autori hanno poi deciso di intraprendere (ovvero nessuna).

Se c’è un lato positivo dell’esito di quest’ottava stagione, è che mi ha portato a rivalutare Hotel come una serie che semplicemente a me non è piaciuta, ma che era ancora entro i limiti dell’accettabile. Apocalypse potrebbe rappresentare un punto di non ritorno decisamente non di mio gradimento, tuttavia non sarebbe la prima volta che lo show prende strade a noi non congeniali per poi tornare nuovamente a splendere, contro ogni aspettativa.


Un saluto all'affiliata American Horror Story Italia 

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Articolo di Fabio Scala

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