KNIGHT OF CUPS, la "piccola bellezza" di Hollywood


Terrence Malick è considerato uno dei più grandi registi esistenti. Il suo stile è in continua evoluzione. Passiamo da quello sicuramente particolare, ma comunque tradizionale di La Rabbia Giovane, a quello incredibilmente complesso e autoriale di The Tree of Life.
Dopo il buco nell'acqua di To The Wonder, il regista di Waco, Texas, è tornato in sala con Knight of Cups, presentato al Festival del Cinema di Berlino nel 2015 ma uscito nel mondo solo lo scorso marzo, con un rilascio limitatissimo.

L'ottava fatica di Malick è un lavoro tuttavia difficile da giudicare.



Rick, interpretato da Christian Bale, è uno sceneggiatore timido e donnaiolo appena giunto ad Hollywood. Vive una sorta di crisi di mezz'età, che lo porterà a perdersi tra il divertimento e lo sfarzo che gli garantiscono lo star system, Los Angeles e Las Vegas. In mezzo, gli incontri con sei donne e il difficile rapporto con il fratello e il padre caratterizzeranno la sua epopea.

Sin da subito veniamo travolti dalla regia instabile e ricca di cambi di inquadrature, con movimenti di camera apparentemente inimmaginabili, ormai marchio di fabbrica dell'autore di La Sottile Linea Rossa. Basta questo, però, a coprire la quasi totale mancanza di dialoghi?
Il film, infatti, risulterà ai più ermetico ed inconoscibile. I personaggi hanno pochissime battute, e la maggior parte della narrazione è affidata ai voice-over di Bale e Ben Kingsley, voce narrante d'eccezione della pellicola. Ben poco, inoltre, può essere compreso se non si sono visti altri film del regista. E' infatti dominante la parte autobiografica del racconto, rappresentata dal rapporto complicato tra Rick e suo fratello Barry (Wes Bentley), e dei due con il padre Joseph (Brian Dennehy). Si possono scorgere i paralleli con The Tree of Life, altro film ricco di riferimenti autobiografici, in cui il protagonista aveva problemi con il padre ed i fratelli. Ulteriore riprova di ciò è il buon rapporto del protagonista con la madre (interpretata da Cherry Jones).

Sei donne accompagnano il nostro sceneggiatore in crisi nel corso della sua odissea attraverso la perdizione, tra cui spiccano lo spirito libero Della (interpretata da una Imogen Poots semplicemente magnetica), l'ex moglie Nancy (una magnifica Cate Blanchett) e la fragile Elizabeth (una intensa Natalie Portman). Anche in questo, ancora una volta, cogliamo corrispondenze con la vita di Malick, risposatosi più volte, e che aveva già parlato dei suoi problemi matrimoniali in To the Wonder.
Parallelismi, però, non si trovano solo con la vita del regista texano, ma anche con una nota e discussa pellicola del nostro paese: La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino.

E' impossibile non notare le somiglianze presenti tra i due film, entrambi desiderosi di denunciare la vacuità, l'amoralità e l'edonismo sfrenato delle città in cui si ambientano, le vere protagoniste dei due racconti. Rick, allo stesso modo di Jep Gambardella non è parte di questo mondo, vivendo la maggior parte delle situazioni da spettatore, rappresentando un nostro avatar all'interno di un viaggio caratterizzato dalle distrazioni che portano due artisti a perdere di vista l'obiettivo che li aveva portati lì. Roma come Los Angeles, Cinecittà come Hollywood.
D'altro canto, entrambi i registi sono stati ispirati dal genio di Federico Fellini. Inoltre, gran parte della trama ricalca l'Inno alla Perla, passaggio degli apocrifi Atti di Tommaso, in cui Rick e Jep si sostituiscono al protagonista della novella: il figlio di un Re che, spedito in Egitto per recuperare una perla, venne sedotto dallo sfarzo della corte e dimenticò la sua missione.

La pellicola è divisa in sette atti, ognuno dei quali prende il nome da una diversa carta degli arcani maggiori dei tarocchi, ad eccezione dell'ultima sezione e del prologo iniziale. Il titolo stesso, traducibile in italiano come "Fante di Coppe", è uno degli arcani minori, che rappresenta l'opportunità. Appropriato, se si considera il soggetto del film. E' consigliato anche conoscere il significato dei tarocchi che danno il titolo a sei segmenti, per comprendere al meglio la narrazione.

La pellicola vede inoltre la terza collaborazione tra Malick e direttore della fotografia due volte Premio Oscar Immanuel Lubezki, che non regala però la migliore delle sue prestazioni. 
Altra prestazione difficile da definire è poi quella di Bale: l'attore è alle prese con un personaggio che parla poco, e che lo costringe per la maggior parte del tempo a recitare con i movimenti del corpo e degli arti, dato che, per altro, viene raramente inquadrato in viso.
Rappresenta invece un punto di forza la colonna sonora di Hanan Townshend.


In definitiva, Knight of Cups è un film sperimentale, interessante ed inebriante, che potrebbe meravigliarvi tanto quanto sarebbe capace di annoiarvi. Non è un film adatto a tutti, ed è molto difficile da consigliare. Sicuramente sarete ammaliati dalla sua sfavillante regia. Altrettanto non si potrebbe dire della sua impenetrabile scrittura.

Giudizio: 7/10


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Articolo di Klaus Heller

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