TWIN PEAKS - Analisi della serie originale



Twin Peaks…trent’anni prima
Correva l’anno 1990, quando il regista David Lynch, già all’epoca noto al grande pubblico per i suoi conturbanti lavori cinematografici  (Eraserhead – La mente che cancella, The Elephant Man, Velluto Blu) e il produttore televisivo Michael Frost, che si era fatto conoscere negli anni Ottanta con lo spettacolo televisivo Hill Street Blues, si rivolsero a un network nazionale, allora in crisi, l’American Broadcasting Corporation, per presentare il progetto di una nuova serie televisiva sulla quale i due ragionavano già da qualche anno. Ricevuto dal network il nullaosta a procedere dopo la visione del pilot, i due autori riuscirono ad accordarsi con la rete per poter lavorare indisturbati, senza il rischio d’incorrere in un controllo da parte della produzione che interferisse sulle loro scelte creative.

La prima puntata va in onda sul canale della ABC l’8 aprile del 1990  ed è subito un “cult” senza precedenti nella storia del piccolo schermo:  come se la familiare, bonaria quotidianità del mezzo televisivo avesse appena subito una virata in un universo finora sconosciuto al pubblico e alla critica, abituati a prodotti senza dubbio ben confezionati, che si erano trasformati in veri e propri “cult” (come The Prisoner, Star Trek, Doctor Who e  Max Hedroom, per citare i principali), senza però aver mai infranto i tabù che sembravano tacitamente proteggere il rassicurante modello delle serie televisive degli anni Ottanta.
Mai tuttavia una serie si era guadagnata l’etichetta di “cult” in così poco tempo. Già dalle prime puntate, l’entusiasmo dell’audience raggiunge livelli altissimi. In conseguenza a un simile successo appare Il diario segreto di Laura Palmer, scritto da Jennifer Lynch, figlia del regista; si costituiscono centinaia di fan-club che organizzano raduni per vedere insieme gli episodi; la piccola cittadina di North Bend, nello stato di Washington, dove la serie è stata girata, diviene addirittura meta di pellegrinaggi al punto che il “MAR-T Cafè”, la caffetteria di North Bend trasformata dalla troupe di Twin Peaks nel ristorante di Norma Jennings, fu a lungo letteralmente presa d’assalto dai turisti che venivano a gustare la memorabile torta di ciliegie e il buon caffè tanto decantati dall’agente Cooper!

Ma le etichette, si sa, sono sempre riduttive e vanno comunque interpretate. Innanzitutto, Twin Peaks rappresenta uno dei primi e più fulgidi esempi di autorialità televisiva e questo non soltanto perché si lega al nome di David Lynch,  ma anche e soprattutto perché la genesi del serial avvenne in un contesto produttivo caratterizzato da una libertà di scelta senza precedenti nella storia della televisione e questo permise di fatto la realizzazione di un prodotto marcatamente autoriale, dalla narrativa complessa, dall’estetica visionaria, dall’indiscutibile matrice postmoderna: insomma, un prodotto che, sin dalla prima puntata, ha già tutti gli elementi per configurarsi come un grande e indiscusso capolavoro televisivo. Che il pubblico abbia risposto favorevolmente alla novità lanciata da Twin Peaks è stata poi un’ulteriore conferma del fatto che il mezzo televisivo fosse ormai pronto per qualcosa  non solo di nuovo , ma anche innovativo.

La detective story in Twin Peaks
Twin Peaks è, come ormai tutti sappiamo, una serie tv che basa il suo plot principale su uno sviluppo tipicamente “giallo”, ma si tratta di un giallo atipico, ossia un poliziesco che finisce in realtà per trasgredire tutte le regole convenzionali del genere.
Tutto inizia dal ritrovamento del cadavere di una bella e popolare adolescente in una sonnolenta cittadina del nordovest degli Stati Uniti e dall’arrivo sul posto del brillante agente investigativo dell’FBI, Dale Cooper, inviato per coordinare le non troppo preparate autorità locali. Gli elementi iniziali della serie indirizzano subito lo spettatore verso il più classico dei gialli, ma già dalle prime puntate vedremo cadere, uno dopo l’altro, tutti i topoi classici del genere, a cominciare proprio dalla figura di Dale Cooper che dominerà, incontrastata, non soltanto la scena del crimine, ma l’anima stessa della serie. Secondo alcuni critici, infatti, la detective story, che costituisce il plot principale di Twin Peaks, è in realtà solo l’espediente per delineare il cammino iniziatico del giovane Cooper, che dalla dimensione raziocinante dell’ordine e della legge si farà sempre più coinvolgere in un regno arcano, affascinante e pericoloso, fino a “fondersi” del tutto con il lato oscuro di questo mondo. In ciò, emerge subito una vistosa incrinatura nella struttura poliziesca classica: il detective è solitamente colui che fa luce sul mistero, sconfigge il Male e ricostituisce l’ordine violato, proprio perché non lascia che la sua razionalità e la sua fredda logica siano deviati da tutti quegli aspetti conturbanti e apparentemente inspiegabili che si nascondono dietro ogni delitto.

Non così Cooper: egli, innanzitutto, unisce alle sue brillanti doti di “segugio razionale”, un intuito fuori dal comune, più vicino a una sensibilità paranormale che a una qualità intellettuale. In seguito a un sogno, ha cominciato a credere ciecamente nella filosofia tibetana e applica all’indagine metodi a dir poco bizzarri (colpendo una bottiglia con un sasso, scopre il nome di uno degli uomini che ha abusato di Laura la notte dell’omicidio). Inoltre, nel corso dell’indagine, Cooper riceverà aiuti preziosi da parte di apparizioni soprannaturali, messaggi interstellari e strani personaggi, come la signora Ceppo, fino ad arrivare a quel grandioso “paradosso” che è l’incontro, in sogno, con la stessa Laura Palmer, la quale rivelerà a Cooper in un orecchio il nome di chi l’ha uccisa.

Ecco, dunque, che l’intero impianto poliziesco – le indagini, gli esami della scientifica, gli interrogatori ai possibili indiziati – diventa un “circo” di puro intrattenimento, perché la chiave per risolvere il crimine è già tutta qui, nel sogno di Cooper, che l’ha però rimossa, una volta sveglio, relegando la soluzione del caso (il nome confidatogli dalla stessa vittima) nel proprio subcosciente. Va, però, sottolineato come tale processo di “derazionalizzazione” del detective in Twin Peaks, per dirla con un’espressione di  Angela Hague, non vada caricato di un significato sbrigativo e fuorviante: Cooper non abbandona la logica, al contrario la usa per decodificare i misteriosi messaggi paranormali. Il suo misticismo non si traduce mai in una condotta irrazionalistica e istintiva; al contrario, egli è calmo, compassato, misurato. E’ tuttavia consapevole dell’inadeguatezza della ragione come unico metodo d’indagine e disposto a credere a tutto ciò che la razionalità ci porta a negare: una fiducia nel mistero e nell’incredibile che caratterizzerà altri due famosi personaggi della fiction televisiva degli anni ‘90, il Fox Mulder di X-Files e il Frank Black di Millennium.

Tale atteggiamento lo si può rintracciare, in forma più semplicistica, anche in altri personaggi che aiutano Cooper durante la sua indagine: lo sceriffo Truman, con il  quale Cooper stringe sin dall’inizio un fraterno sodalizio, non mette mai in dubbio i metodi del suo brillante quanto stravagante amico, tantomeno la veridicità dei messaggi sibillini che egli riceve in sogno dagli spiriti; il maggiore Briggs, sorprendentemente, non incontrerà alcuna difficoltà a credere nell’esistenza di Bob, dichiarando che “ci sono molte più cose fra il cielo e la terra di quanto l’uomo ne possa pensare”; e  persino il cinico Albert Rosenfield, esperto di scientifica, cercherà una mediazione fra le due opposte espressioni del Male, quella fisica di Bob il serial killer, e quella metafisica di Bob il demone, arrivando alla conclusione che Bob “rappresenta il male che ognuno è capace di fare”.

Laura Palmer: soggettività post-mortem
Se è vero che Cooper distrugge quasi tutte le regole tradizionali del classico detective, anche la figura di Laura Palmer è molto diversa da quelli della classica vittima. Secondo Andreas Blassmann, il rapporto detective-vittima, nel racconto giallo, nasconde quasi sempre la visione intrinsecamente maschilista della nostra società: il detective, infatti, sempre maschio, detiene il potere attraverso lo sguardo, è dunque un soggetto attivo che interagisce con la realtà che lo circonda, mentre la vittima – molto spesso donna – viene relegata nel ruolo di un impotente oggetto dello sguardo (maschile), un corpo già violato dall’assassino, che una fredda e impersonale analisi condotta dal detective violerà ancora. La sua unica qualità è la bellezza: una bellezza inerte, resa semmai ancora più suggestiva dalla morte. 

Proprio in virtù di questa opposizione - attività/passività, soggetto/oggetto, mente/corpo - il detective non può trovare identificazione con la vittima, anzi è portato a distaccarsene violentemente, poiché sente di dover proteggere la propria virilità, espressa attraverso quella condotta raziocinante, controllata e logica, dalla minaccia di quel disordine esistenziale che un contatto con la sua parte femminile porterebbe nel suo mondo. Non è  un caso, che per trovare l’assassino, il detective debba spesso identificarsi con lui, ricostruendone la logica perversa.

All’inizio della storia di Twin Peaks, tutto questo sembra doversi ripetere, a cominciare dalla rappresentazione di Laura Palmer  che, avvolta nel suo sacco di plastica, appare splendida anche nella morte, circondata da un’aura di innocenza violata che fa subito piangere il sensibile poliziotto Andy Brennan. Né sembra molto diverso il tipo di rapporto che si stabilisce fra lei e il giovane detective giunto a Twin Peaks per indagare. In un primo momento, quando Cooper esamina per la prima volta il cadavere di Laura Palmer, il suo atteggiamento è improntato ad un professionale distacco, ma successivamente tale rapporto cambia e lo si capisce nella scena nella quale Cooper, dopo aver scacciato dalla sala dell’autopsia il cinico Albert Rosenfield, accarezza dolcemente una mano della ragazza, a mo’ di conforto. Tale atteggiamento di Cooper rivela un sentimento di empatia e di affettuoso rispetto verso la ragazza. Ma non solo. Egli, addirittura, la incontrerà in sogno e sarà da lei indirizzato verso la scoperta del colpevole dell’orrendo delitto.
E’ significativo il fatto che Cooper non abbia alcun legame mentale con l’omicida (maschile), mentre ne ha con la vittima (femminile). Accettando di ascoltare Laura Palmer, Cooper dimostra simbolicamente la sua disponibilità ad accogliere il proprio lato femminile, unendo così l’emotività alla razionalità.

Tuttavia il ruolo di Laura Palmer all’interno di Twin Peaks non si limita al suo rapporto esclusivo ed originale con Cooper. Innanzitutto, non sarebbe improprio definire Laura come uno dei tanti personaggi della serie dal momento che, anche dopo la morte, l’ex-reginetta del liceo continua ad essere una presenza in Twin Peaks, non tanto, e non solo, perché vi è materialmente tornata nei panni della cugina/sosia Maddy, anch’essa interpretata dall’attrice Sheryl Lee, quanto perché il suo spirito sembra costantemente aleggiare intorno ai personaggi, “guidando” le visioni di sua madre Sarah ed entrando sempre più prepotentemente non soltanto nella vita del detective ma anche in quella dei suoi amici, come James, Donna ed Audrey che, ad un certo punto, cominceranno a condurre delle indagini personali lasciandosi gradualmente risucchiare dal torbido e misterioso mondo nel quale la ragazza era scivolata.

«Chi era Laura Palmer?», ci si chiede subito dopo la prima puntata. A un livello più superficiale, una ragazza che racchiude in sé tutte le contraddizioni dell’adolescenza, portate all’estremo: figlia modello, studentessa popolare, cittadina benvoluta e amata da tutti; ma al tempo stesso, una ragazza profondamente tormentata, che la droga e il sesso violento avevano trasformato in una nera regina della corruzione. Ma tale ambiguità, che in Laura raggiunge il parossismo, viene estesa da Lynch all’intera cittadina, questa Peyton Place in versione grottesca e visionaria. Scopriremo presto che tutti i personaggi di Twin Peaks, nessuno escluso, hanno una “doppia” faccia o, nel migliore dei casi, un segreto (non necessariamente riprovevole) che devono tenere lontano dagli occhi e dalle coscienze dei loro concittadini; anche il bonario sceriffo Truman, uno dei personaggi più lineari della serie, non sfugge a questa “regola”, rivelando a Cooper di appartenere a una fratellanza segreta, i Bookhouse Boys, istituita per combattere il “male antico che vive nei boschi”; e persino l’ingenuo Pete Martell, uomo semplice ai limiti della mediocrità, sorprenderà Cooper  nella seconda stagione, rivelandosi un  geniale giocatore di scacchi!

Va però precisato che questa ambivalenza, che connota ogni singolo abitante di Twin Peaks, non è stigmatizzata da Lynch, ma è anzi inquadrata in una cornice normalizzante e mai moralistica. Stilisticamente, ciò emerge anche dalla scelta di adottare, per tutto il corso della serie, un’immagine accogliente e tranquilla, una fotografia che predilige luci “morbide”, generalmente prive di forti contrasti, a sottolineare che  la convivenza degli opposti – il bene e il male, la luce e le tenebre, l’innocenza e la colpa – è l’essenza naturale di  ciascun essere umano, cosicché  anche gli eccessi della vita di Laura non suscitano scalpore, né tantomeno condanne, ma vengono presentati come semplici fatti, che l’indagine di Cooper e Truman registra, sospendendo al tempo stesso ogni giudizio.

In questo senso, anche l’omicidio di Laura si apre a un doppio livello di lettura: sul piano psicologico-narrativo, esso scaturisce dalla gelosia patologica di un padre che nutre una passione incestuosa verso la propria figlia, mentre sul piano metaforico esso rappresenterebbe la reazione censoria e punitiva di una comunità nei confronti di chi non si conforma alle regole del ruolo sociale che le è stato imposto. E dunque, in tale prospettiva, ancora più sintomatico deve apparire il fatto che il responsabile dell’omicidio sia proprio Leland Palmer: poiché la soggettività femminile minaccia il potere maschile e mette in crisi l’ordine patriarcale su cui questo potere si fonda, il Male non può trovare rifugio migliore se non in un tipico esponente della middle class di provincia, un amorevole padre di famiglia, un brillante avvocato, un cittadino modello, il cui lato oscuro, tuttavia, va molto oltre l’illecito e la cui doppiezza risulta troppo abominevole per poterla rappresentare in termini di umana accettazione.
Questo ci porta, inevitabilmente, alla domanda iniziale di Twin Peaks: «Chi ha ucciso Laura Palmer?».

Leland e Bob: due incubi a confronto
Dopo una stagione e mezza, precisamente al quindicesimo episodio, il pubblico di Twin Peaks può dare finalmente un volto e un nome al misterioso assassino di Laura Palmer. 
Con la rivelazione “choc” dell’identità dell’assassino, si apre uno dei temi più inquietanti della serie: l’incesto, argomento tabù mai prima d’ora affrontato in una serie televisiva.
Lynch e Frost, tuttavia, anche in questo caso, decidono di non affidarsi a una conclusione univoca e lineare del caso e di trasformare la storia di un delitto morboso e aberrante in una vera e propria storia dell’orrore, con tanto di entità demoniaca.

Ma dove esattamente finisce Leland, e dove inizia Bob? Da un punto di vista visivo, le due personalità appaiono ben distinte: mentre Leland si muove in un tempo e in uno spazio reali, all’interno di una fotografia calda, naturalistica, ben definita, Bob si muove in un tempo diverso, dove l’uso del ralenti e l’effetto abbacinante di una forte luce bianca sembrano relegare la sua oscena voluttuosità nei confronti di Laura in una dimensione irreale.  Ma, da un punto di vista tematico, la distinzione diventa più problematica e lascia, di fatto, il mistero dell’assassino di Laura Palmer irrisolto, contravvenendo, ancora una volta, alle regole del genere: certo è stato Leland a compiere materialmente i due delitti, anzi tre, se si considera anche l’antefatto di Teresa Banks, ma al tempo stesso Leland non può dirsi responsabile di questi crimini, né della sua relazione incestuosa con la figlia Laura.

L’idea che uno spirito del Male sia il vero artefice di questa orrenda storia ha lasciato buona parte della critica e del pubblico americano insoddisfatto, tanto che molti critici, come Warren Goldstein, vedono nella soluzione soprannaturale un palliativo per rendere narrativamente più accettabile il tema del delitto a sfondo incestuoso.
L’allontanamento da questo tema brutale è ripreso anche nel momento della morte di Leland, in cui quest’ultimo, dopo aver  parlato di sua figlia come di una martire, sostiene di riuscire a vederla, bellissima e serena, all’interno di un tunnel di luce, cosicché l’agente Cooper potrà in seguito riferire a Sarah Palmer che Leland e Laura sono finalmente riuniti in un rapporto felice, come padre e figlia.

Del resto la violenza familiare, che pure è uno dei temi che maggiormente ricorre nell’immaginario lynchano (pensiamo a Cuore selvaggio), è un dramma che non può trovare risposte e per il quale non esiste una comprensione riparatrice, come si evince dalle parole accorate di Cooper che allo sceriffo Truman, scettico circa la possessione demoniaca di Leland, domanda: «Harry, preferisci forse credere che un padre abbia violentato e ucciso la propria figlia? Ti sentiresti più rassicurato?».
E tuttavia è riduttivo pensare che il ricorso al soprannaturale venga utilizzato da Lynch solo per alleggerire e mitigare l’oscena, intollerabile violenza che si nasconde sotto la superficie dell’impeccabile rispettabilità borghese.
E’ anzi evidente come il soprannaturale sia elemento-chiave della serie e vero motore della sua originalità.

Il tema del soprannaturale
Dopo la soluzione del delitto Palmer, i contatti di Cooper con il soprannaturale non cesseranno, anzi il soprannaturale giocherà un ruolo ancora più centrale quando la vicenda poliziesca si sposterà su una nuova indagine di Cooper e Truman. Perno di questa nuova indagine sarà la caccia a Windom Earle, pericoloso psicopatico giunto a Twin Peaks, apparentemente, per mettere in atto una vendetta personale ai danni di Cooper, che invece scopriremo essere solo un espediente per distogliere l’attenzione di quest’ultimo dal vero motivo che lo ha condotto nella cittadina, ovvero la ricerca della misteriosa Loggia Nera, sede di forze occulte e di poteri demoniaci. Secondo la critica, questa seconda parte di Twin Peaks è stata caratterizzata da una sostanziale debolezza narrativa, che ha portato buona parte del pubblico, sia americano che straniero, ad abbandonarne la visione. E’ innegabile che la maggior parte del fascino di Twin Peaks  resta legato tutt’oggi a quel “tormentone” che ha fatto chiedere a tutto il mondo «Chi ha ucciso Laura Palmer?». Ma se, narrativamente, il revenge-plot di Windom Earle non ha convinto pubblico e critica, dall’altro lato esso permette a Lynch di continuare a sviluppare il suo discorso visionario, concludendo al tempo stesso tutti quei subplots o quelle questioni che erano rimaste in sospeso.

Cerchiamo ora di passare rapidamente in rassegna i principali eventi, di natura bizzarra e inspiegabile, che fanno la loro comparsa nel tessuto della storia. In ordine di apparizione, essi sono: il sogno di Cooper nella Stanza Rossa, che scopriremo trattarsi di un vero e proprio contatto con l’aldilà; le apparizioni del Gigante che fornisce a Cooper alcuni indizi riguardanti l’indagine; l’uccisione di Maddy ad opera di Leland/Bob; l’apparizione di Bob a Cooper nel momento della morte, improvvisa e inspiegabile, di Josie Packard; l’ingresso di Cooper nella Loggia Nera, dove egli incontrerà una lunga galleria di fantasmi, del presente e del passato, prima di soccombere del tutto alla possessione di Bob.

Se in un primo momento il legame tra mondo fisico e mondo metafisico passa attraverso due comuni espressioni dell’inconscio – il sogno e l’allucinazione – gradualmente il soprannaturale tenderà a svincolarsi da qualsiasi contesto psichico, come si evince già alla terza visita del gigante, quando quest’ultimo appare sul palcoscenico della Roadhouse per avvertire Cooper della morte di Maddy. Se infatti, durante le precedenti apparizioni, Cooper si trovava in condizioni di semincoscienza (la prima volta che il gigante si mostra a Cooper questi, appena colpito da un proiettile, non è in possesso delle sue facoltà mentali; la seconda volta, invece, è addirittura addormentato), in seguito egli è completamente sveglio e non può dunque attribuire l’apparizione ad uno stato onirico. 

Anche nella scena immediatamente successiva, quando vedremo Leland trasformarsi in Bob, la possibilità che tale sdoppiamento avvenga solo nella mente malata di Leland è smentita dall’urlo agghiacciante lanciato da Maddy alla vista dello zio. Da questo momento in poi, le apparizioni non avranno più bisogno di particolari condizioni psicologiche per palesarsi.
Ecco dunque che il soprannaturale ha cambiato registro: esso appare inizialmente in forme e contesti familiari e soggettivi (il sogno), per diventare sempre più minaccioso, incontrollabile e “oggettivo”.

Questo progressivo cambiamento trova il suo clou nell’ultima puntata del serial, quando Cooper decide di avventurarsi nella Loggia Nera, che altro non è se non la Stanza Rossa dei sogni di Cooper cambiata di segno: tutto ciò, infatti, che lì era rassicurante, qui assume carattere ostile e malvagio. Persino l’incontro con Laura Palmer sarà rivissuto da Cooper in chiave minacciosa, poiché la ragazza, alla vista di Cooper, proromperà in una serie di urla laceranti con il volto deformato da una smorfia vampiresca. Se nella Stanza Rossa Cooper sedeva tranquillo e composto, come in un qualsiasi salotto borghese, qui è costretto a spostarsi continuamente da una stanza all’altra, percorrendo un inquietante corridoio, fiancheggiato da tendaggi rossi, tutti uguali; se nella Stanza Rossa, la luce aveva una tonalità calda e confortevole, qui la luce assume uno stato di instabilità stroboscopica al fine di aumentare l’effetto di straniamento di Cooper e dello stesso spettatore.

Ma, in definitiva cos’è la Loggia Nera? E in che rapporto sta con la precedente Stanza Rossa nella quale Cooper era entrato con tanta fiducia? Lynch non dà alcuna indicazione per spiegare queste due realtà, al tempo stesso simili e opposte, dobbiamo quindi limitarci a vederle solo in relazione al personaggio di Dale Cooper, che in realtà corrisponde alla struttura narratologica dell’intera serie: attraverso di lui, infatti, Twin Peaks sperimenta la doppia accezione del soprannaturale, in termini di meraviglioso (la Stanza Rossa) e d’inquietante (La Loggia Nera).

Secondo Angela Hague, l’invasione di Bob ai danni di Cooper è proprio l’inevitabile conseguenza dell’apertura psichica che caratterizza il suo “ego elastico”: cosicché, per capire la natura del male, egli deve sperimentarlo completamente, fondendosi con esso.
Se dunque durante l’indagine Palmer il soprannaturale rappresentava, metaforicamente, quella condizione ideale di apertura verso l’irrazionale e l’inconscio, in una fiduciosa accettazione di tutti quegli aspetti trascendentali e inesplicabili della condizione umana, ora esso si presenta come “anticamera” della fascinazione e del potere invasivo del Male, inteso non tanto in senso religioso o morale, quanto come regno del caos e della paura primordiale (anche narrativamente, infatti, è la paura ad aprire il portale che conduce alla Loggia Nera) che si contrappone ai valori di ordine e raziocinio della civiltà.

Postmodernismo in Twin Peaks
Il plot poliziesco in Twin Peaks, con tutte le sue implicazioni metafisiche e soprannaturali, costituisce senza dubbio la maggior attrattiva della serie. Tuttavia, non si può negare Twin Peaks sia anche un prodotto estremamente divertente, pieno di personaggi esilaranti e di scene a dir poco memorabili. Basti pensare che il cast di Twin Peaks conta oltre quaranta personaggi stabili, più quelli, altrettanto numerosi, la cui permanenza nella serie è di durata molto breve  o sporadica. Ovviamente non tutti i personaggi vengono coinvolti nell’indagine di Cooper e la maggior parte finisce per sviluppare storie autonome, secondo uno schema che rimanda immediatamente alla soap opera. Uno dei tanti meriti di Twin Peaks è infatti quello di aver saputo ibridare, in maniera ironica e brillante, i tre principali generi della fiction televisiva degli anni ‘80,  il poliziesco, la soap opera e la sitcom, senza tralasciare molti altri riferimenti all’immaginario cinematografico (basti pensare al personaggio di James Hurley, motociclista romantico e irrequieto, citazione esplicita del  James Dean di Gioventù Bruciata (Nicholas Ray,1955).

Il raggio d’azione di questa intertestualità è, quindi, molto ampio: si va dall’omaggio alle più  popolari saghe narrative della fiction televisiva di fine anni ’70, come Dallas e Dinasty, (i personaggi dei due “cattivi” Catherine Martell e Benjamin Horne sono infatti mutuati da una rivisitazione, in chiave umoristica, della perfida Alexis Carrington e del leggendario J.R.), alla più stereotipata stucchevolezza di certe soap opera (con i vari triangoli amorosi, i matrimoni infelici e i conflitti familiari, con improvvise scoperte di paternità ); dai riferimenti al cinema “alto” (Hitchcock e Bunuel) alla rivisitazione del cinema di genere, come il western (si pensi al One Eyed Jacks, modellato sul genere bordello-saloon o alla saggia figura del nativo americano Hawk), il melodramma e il noir, evocato soprattutto da alcune conturbanti figure femminili, come Audrey Horne, la cui aria da femme fatale si rivelerà, però, soltanto un bluff, e la ben più pericolosa Josie Packard, vera dark lady, abilmente nascosta sotto un’apparenza fragile e innocente. A tutto questo si aggiunga una spiccata vocazione della serie per l’umorismo nero e la comicità. Quest’amalgama di elementi tanto eterogenei, questo continuo ricorso alla referenzialità, al metalinguaggio, all’ironia, fanno di Twin Peaks uno dei primi e più riusciti esempi di postmodernismo televisivo, creando un universo nel quale lo spettatore, di qualsiasi età, riconosce continuamente icone del proprio mondo e della propria cultura, ma sarebbe sbagliato vedere in tutto questo un puro gioco intellettuale.

Con Twin Peaks Lynch e Frost mettono in atto un progetto ben preciso, quello di svecchiare il mezzo televisivo e inaugurare un nuovo tipo di serial televisivo che si autodenuncia, da subito, come perfetta finzione, metatesto, dialogo aperto con lo spettatore. E’ infatti soprattutto in questo, nel rapporto con lo spettatore, che Twin Peaks raggiunge la sua più grande e rivoluzionaria conquista. Man mano che lo spettacolo procede, lo spettatore si rende conto che risolvere il crimine è diventa secondario: nel tessuto della storia, infatti, si intrecciano i fili più disparati e lo spettatore è continuamente chiamato a dare un senso e a collegare tutti quei materiali visivi e diegetici che appaiono incongrui e privi di nessi logici. Già alla fine della prima stagione, lo spettatore si accorge che non c’è una maniera univoca per spiegare l’intricata trama di Twin Peaks. Lynch, del resto, non è il regista che ama fornire al suo pubblico una chiave di lettura per interpretare le sue storie; lo spettatore è costretto a convivere con l’incertezza, a procedere a tentoni  in assenza di rassicuranti delucidazioni. Se si fosse trattato di un prodotto cinematografico, questa assenza non avrebbe stupito ma, in un prodotto televisivo, essa è stata di sicuro un notevole passo avanti, che avrebbe finito per influenzare in maniera radicale il futuro del variegato universo delle serie televisive.

Questo saggio è una revisione di quello apparso in Cult Series Vol.1 (Dino Audino Editore, 2005) di Doriana Comandè.


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Articolo di Doriana Comandè

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