Il
sangue è ancora caldo e i primi spettatori italiani si stanno probabilmente riprendendo da ciò a cui hanno appena assistito,
tuttavia noi di Lost in A FlashForward non possiamo
trattenerci dal commentare la prèmiere della
settima stagione di American Horror Story: Cult,
andata in onda negli Stati Uniti soltanto ieri. Se non avete ancora
visto l'episodio state attenti agli SPOILER!
Election
Night è tutto un programma. Il
primo episodio della settima stagione di American Horror
Story racchiude gran parte di
tutto ciò che c'è stato fino ad ora promesso, dal tema all'ultimo,
incredibile promo
diffuso nelle ultime settimane.
AMERICAN HORROR STORY - Diffuso il trailer ufficiale della settima stagione ... ed è subito Cult!
La
storyline principale
si può tranquillamente dividere in due binari paralleli che già in
questi quarantasette minuti e mezzo di terrore sono riusciti a
toccarsi, se pur per pochi istanti. Da una parte abbiamo Ally
Mayfair-Richards (Sarah Paulson) la moglie Ivy (Alison Pill) e il
figlio Oz. Ally è lo strumento col quale AHS
decide di fornire ai suoi spettatori la propria versione su come
sarebbero potute andare le elezioni se così tante persone non
avessero votato il Green Party of the United States di
Jill Ellen Stein, gettando il loro voto. Ally, infatti, è tra coloro
che hanno fatto “l'errore” di non votare uno dei due maggiori
candidati alla Casa Bianca, favorendo in questo modo
involontariamente l'ascesa al potere dell'effettivo attuale
Presidente degli Stati Uniti d'America Donald Trump. Il rimorso e il
vero e proprio terrore per la vittoria di Trump attivano in Ally
fobie che pensava di essersi lasciata alle spalle. Tra queste, la
preponderante è la paura dei clown (dal greco coulrofobia)
alla quale fanno compagnia quella del sangue, degli spazi bui e dei
buchi. Quest'ultima si chiama tripofobia,
è una delle meno conosciute e al tempo stesso delle più conosciute.
I sintomi sono chiari quando proviamo terrore alla vista delle bolle
di sapone quando sono una attaccata all'altra, o in generali di buchi
molto vicini tra loro, come quelli di un alveare (questo vi dice
qualcosa?). Un recente studio dell'Università dell'Essex ha
dimostrato come i nostro cervello associ tali conformazioni ad
animali pericolosi. L'emofobia
è una paura di cui al contrario abbiamo sentito tutti parlare, se
tra i lettori non ce n'è addirittura qualcuno soggetto. La paura del
sangue è spesso causata da una repressione dell'aggressività, o più
comunemente da traumi infantili o adolescenziali. È sicuramente una
delle più conosciute insieme alla claustrofobia,
la paura degli spazi chiusi, spesso riconducibile all'oppressione o
al desiderio di liberazione.
Il
personaggio di Sarah Paulson, protagonista indiscusso di questo primo
episodio, è già stata vittima di queste fobie ed è riuscita a
superarle quando ha conosciuto la sua metà, Ivy. Dopo anni, la
vittoria di Donald Trump ha risvegliato dormienti fantasmi del
passato e timori per il futuro. È d'altronde documentato come alcuni
sopravvissuti alle barbarie del nazismo, in seguito alle elezioni del
novembre 2016 hanno ricominciato ad avere incubi sull'olocausto. Ally
comincia allora a vedere clown ovunque, a farsi sempre più
vulnerabile e, nonostante ciò, a insistere nel non prendere le
medicine fornitegli dal suo psicologo il Rudy Vincent (Cheyenne
Jackson). Già a metà episodio Ivy vacilla, non riuscendo a
sostenere l'ondata di follia alla quale Ally sta assoggettando la
loro realtà intima e familiare. Nell'epoca dei social,
poi, con i Presidenti che non fanno altro che tweeting
o postare frasi e foto ad effetto su Istagram e Facebook è difficile
passare sopra lo “stupido” risultato di un elezione politica.
Ally non riesce a liberarsi di Trump, dei sensi di colpa per il
proprio voto gettato via e di ciò che la vittoria del Partito
Repubblicano significa in netta opposizione alla legislatura
precedente di Barack Obama.
Dall'altra
parte dello specchio, la seconda storyline
principale vede al centro Kai Anderson (Evan Peters) alle prese con
l'inizio di un mondo che, al contrario di Ally, egli ha afferma di
avere aspettato a lungo. Un impero costruito sulla paura, l'unica
cosa che a sua detta gli esseri umani riescono ad amare e sulla quale
sono in grado di costruire tutto. Kai è convinto di diventare il
leader di questa nuova
realtà e la vittoria di Donald Trump gli ha dato la giusta
motivazione per mettersi in moto. Ciò che si prospetta è la
costruzione progressiva di un leader religioso desideroso di
fermentare le paure e le emozioni negative di un popolo ridotto allo
stremo da un evento inaspettato come quello del risultato delle
elezioni politiche dell'anno scorso. Ryan Murphy ha precisato come
predecessori in senso più o meno lato dei tanti Kai Anderson che
esistono e sono esistiti sono Charles Manson, Jim Jones, David Koresh
e Andy Wharol.
Costruzione
progressiva, che inizia “brick by brick” incrementando l'odio dal
basso, mentre il Presidente degli Stati Uniti d'America si occupa di
farlo dall'alto. Ecco allora Kai Anderson cantare La
Cucaracha in un parcheggio,
urinando in un profilattico destinato a essere lanciato contro un
gruppo di messicani che, prontamente e non a torto si lanciando
addosso al ragazzo, riempendolo di legnate. Qualcuno, poco distante,
riprende col telefonino. Poco ci importa di chi si tratti, nell'era
dei social può
trattarsi di uno spettatore qualunque, come noi tutti. Quel che
sappiamo è che il giorno dopo la scena (eccetto quella del
gavettone) sarà in rete e diverrà un caso mediatico sul quale la
Casa Bianca potrà spargere altra benzina.
Kai
e Ally, due facce di uno stesso panorama contemporaneo. Tuttavia, i
personaggi che vertono attorno alle loro vicende non sono meno
importanti. Abbiamo Winter Anderson (Billie Lourd) sorella di Kai e
forse sua prima adepta, cinica e perversa, sedicente democratica
entra nelle vite di Ally e Ivy come babysitter.
Oz, il figlio di Ally e Ivy, è un altro personaggio chiave di questa
settima stagione. Il bambino è innanzitutto il primo ponte tra la
settima stagione e una delle precedenti, precisamente la quarta. Oz
legge infatti le avventure a fumetti del pagliaccio assassino Twisty,
ispirate a fatti di cronaca a cavallo tra gli anni Cinquanta e
Sessanta che gli amanti di Freak Show
conoscono molto bene. È proprio il fumetto a sfondare le barriere di
Ally e a fare entrare i clown assassini, clown che fino all'ultimo
siamo portati a credere, insieme a Ivy, che siano frutto della mente
della protagonista. Proprio Oz, invece, assiste ad un gruppo di
pagliacci, gli stessi che abbiamo visto perseguitare Ally nelle sue
allucinazioni, introdursi nella casa dei vicini e uccidere il
personaggio interpretato da Tim Kang (coincidenze le sue origini in
The Mentalist e il
bloody smile alla Red
John disegnato dai pagliacci al termine dell'uccisione del suo
personaggio?) e della moglie. L'uomo aveva solo poche scene prima
ridicolizzato il solenne discorso di Kai di fronte al Concilio, al
termine del quale il ragazzo non era riuscito a trattenere una velata
minaccia nei confronti del suo pubblico. Ciò non collega per forza i
pagliacci a Kai, non al momento, e va detto come l'intero episodio
sia seminato di coincidenze al limite del verosimile. Tuttavia,
mettere incertezze nello spettatore in questo caso è il modo
migliore per metterlo in sintonia col personaggio di Ally, le sue
fobie e quelle di tutto il popolo americano che, lo stesso Murphy non
lo nega, la notte delle elezioni erano in uno stato di ansia,
indipendentemente da chi desiderassero che vincesse.
Signori,
questo è il debutto di American Horror Story: Cult,
decisamente meno criptico di stagioni precedenti come Hotel
e tuttavia promettente come fu
da subito Roanoke.
Sarah Paulson e Evan Peters, regnanti come non mai, sono tornati e
non possiamo che attendere col fiato sospeso l'evolversi degli eventi
e delle relationship
tra i diversi personaggi.
Dormite
con un occhio aperto, l'ultima scena di Election Night
insegna.
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1 commenti:
Piccola ma importante correzione: solo gli psichiatri prescrivono medicine, gli psicologi no
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