Consumatosi da nemmeno due giorni, la Lunga notte è già leggenda. Tra aspettative tradite, colpi di scena, spunti cinematografici e vere e proprie rivelazioni, il terzo episodio dell'ottava stagione è riuscito a dividere ancora una volta il pubblico e al tempo stesso a lasciare un segno nella memoria della serie.
La battaglia per Grande Inverno era telefonata ormai da parecchio tempo, dentro e fuori lo schermo. Pronostici, teorie e backstage non si facevano desiderare, mentre ciò che restava ancora un'incognita era alla fine la cosa più importante: l'esito. Chi avrebbe vinto, chi non ce l'avrebbe fatta? Interrogativi che per forza di cose convergono tutti verso la vera risposta che tutti desiderano avere, anche coloro che si dicono stanchi per come sono andate le cose: chi sederà sull'Iron Throne?
Con sorpresa di tutti, delusi e non, la grande battaglia ha riempito giusto il tempo di un episodio, certo il più lungo di tutto lo show, ma comunque uno solo. Molti descriveranno l'esperienza della visione di Battle of Winterfell come qualcosa di pauroso, ad alta tensione, raggelante. Il silenzio prima della tempesta ha incrementato l'effetto che sarebbe seguito, il buio delle sequenze ha incentivato lo spettatore a restare con gli occhi incollati allo schermo per non perdere pezzi e immergersi a pieno nelle tenebre in cui i protagonisti sono costretti a giostrarsi per riuscire a schiacciare e non lasciarsi schiacciare dai temibili nemici.
Gridare all'episodio come a qualcosa di più grande della battaglia per il fosso di Helm non ha aiutato a ridimensionare le aspettative nel momento in cui si ha assistito al suo svolgimento. Certo è che gli standard sono stati alti, tecnicamente e narrativamente parlando.
Tecnicamente, oltre al suddetto notturno volutamente forviante, quello che è stato costruito è qualcosa che per la serialità televisiva potrebbe avere ben pochi precedenti. Una delle scene più criticate di tutto l'episodio, quella in cui i Dothraki si spengono come piccole lucciole ha in realtà un impatto fortissimo se si pensa che erano appena stati dotati del fuoco del Dio della luce. Il buio che inghiotte la luce un'ultima volta prima del conflitto finale.
La quasi completa assenza di dialogo lascia spazio a un'alternarsi di suoni e grida di battaglia e profondo silenzio, come nella scena in cui il Re della Notte arresta la corsa di Jon Snow rialzando da terra tutti i caduti di entrambi i fronti.
Ciò che ha suscitato più clamore, positivo e non, riguarda invece il piano narrativo, le scelte intraprese dagli autori e i destini riservati a determinati personaggi. Anzitutto, Game of Thrones ha abituato così male i suoi fan al punto che buona parte della delusione sembra data dal fatto che i protagonisti non siano tutti morti. A differenza dei presagi trapelati nell'episodio precedente infatti i personaggi principali sono tutti sopravvissuti alla battaglia, mentre vengono annoverati tra i caduti di maggiore interesse Jorah e Lyanna Mormount, Edd, Beric, Melisandre e Theon.
Che c'entra Melisandre? Sta proprio qui il deus ex machina meno apprezzato dai più. L'arrivo di Melisandre a Grande Inverno è dei più casuali e sembra fungere esclusivamente per rendere più sensata la profezia che poi Arya andrà a realizzare/incarnare. Profezia cui la stessa morte di Belric Dondarrion sembra legata e che potrebbe riguardare la fantomatica venuta di Azor Ahai, colui che nella prima lotta contro gli Estranei brandì la spada di fuoco e prevalse sulla Lunga notte. Proprio la morte di Belric, non più resuscitato dal Dio della Luce perché ha portato a termine il suo scopo, ha aperto gli occhi in maniera definitiva a Melisandre sulla reale identità di Arya Stark, improvvisamente portatrice di un inaspettato fardello. Dopodiché è subito citazione di Syrio Forell ("Cosa diciamo alla morte?"), dopodiché è subito leggenda, che piaccia o meno.
Da qui il martirio di Theon, il quale termina il suo percorso di devota redenzione tra le fredde braccia del Re della Notte fornendo il tempo necessario ad Arya per giungere sul posto e salvare Bran finendo il nemico.
L'uccisione del Re della notte da parte di Arya è quindi l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso per i detrattori della serie. Le accuse vanno dall'incoerenza all'approssimazione. L'errore più grosso che un cosiddetto fan può fare resta quello di paragonare la serie al libro quando stiamo parlando di un singolare di adattamento dove il testo adattato, a un certo punto, è diventato altra cosa rispetto a quello di partenza.
Non si può poi negare l'importanza e la qualità di alcune scene come quella muta tra Tyrion e Sansa, dove i loro sguardi raccontano le rispettive storie e l'affetto reciproco. Così come toccante è certo la morte di Jorah, il quale fino all'ultimo resta al fianco della sua amata e irraggiungibile Daenerys.
Quanto detto sopra non esclude alcune scelte discutibili, come per esempio la cattiva gestione del metalupo di Jon, Spettro, e la poca centralità della Regina dei Draghi nel conflitto. Va anche detto, in ultima analisi, che non solo lo scontro con gli Estranei non è la guerra di Daenerys, bensì non è nemmeno l'obiettivo ultimo dell'intero show. A partire dal promo del prossimo episodio infatti Cercei è lì, che attende dietro l'angolo un nord ferito nel profondo da una battaglia che ha comunque rappresentato una sconfitta se si pensa alle ingenti perdite.
Il gioco dei troni è ancora aperto e tutto può ancora accadere.
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