È successo, True Detective ha avuto un'altra (ultima?) storia da raccontare e nel farlo, a nostro parere, ha superato di gran lunga le aspettative.
La terza stagione è il viaggio nel teatro della mente di Wayne "Purple" Hays, ufficiale reduce della guerra del Vietnam mai realmente fuggito dalla giungla. Un viaggio nel passato, nel presente e nel futuro di un uomo, ma soprattutto nei meandri di una malattia che ne ha compromesso i ricordi, e quindi ciò che vediamo è ciò che lui ricorda, una ricostruzione alterata dall'oblio di un percorso difficile alla ricerca della verità su se stessi e ciò che ci circonda.
Ne deriva una soggettività del racconto che ad ogni episodio ci regala nuovi risvolti, tra conferme e colpi di scena. Per questo motivo è importante conoscere fino all'ultimo scheletro nell'armadio della relazione complicata tra Wayne e Amelia, il declino professionale e personale di Roland West, forse più del caso vero e proprio che fa da sfondo per tutta la stagione.
Del caso, la scena madre cui tutto il resto sembra essere costruito attorno è certo il faccia a faccia finale tra Wayne e l'oggetto/pretesto della sua ricerca, Julie Purcell, fuggita dall'incubo e riabilitatosi a donna libera e madre. Raggiunto l'indirizzo della ragazza, Wayne ha uno dei suoi vuoti di memoria e il fatidico incontro si riduce a uno scambio di battute tra due perfetti sconosciuti. Perfetta, proprio grazie a questa scelta, è l'epilogo in sé. Il caso rimarrà ufficialmente sepolto anche se noi, e i nostri protagonisti, abbiamo scoperto la verità.
Oltre alla dimensione onirica, presente in tutte e tre le stagioni (con una preponderanza forse esagerata nella seconda che arriva a preannunciare addirittura la morte del protagonista) accomuna gli archi narrativi di True Detective proprio l'irresoluzione dei casi e la ciclicità degli eventi. Tutti e tre i casi di tutte e tre le stagioni rimangono infatti ufficialmente irrisolti, e tutti i volti noti passati in rassegna dalla penna di Pizzolatto hanno fatto i conti con l'eterno ritorno nietzcheiano. Qui il caso non si slancia verso un inarrivabile e inarrestabile cospirazione, tuttavia la verità passa ancora una volta in sordina, in favore di una trasparenza personale e interna, in questo caso la riscoperta di alcune verità della propria esistenza andate perdute.
Onore al merito autoriale e attoriale quindi, nessuno escluso, in particolare a un Ali Mahershala sorprendente che non a caso la scorsa settimana ha toccato con mano il suo secondo premio Oscar per il suo ruolo in Green Book al fianco di Vigo Mortensen, e che è impossibile non immaginare da qui a breve con molteplici e ulteriori riconoscimenti.
In un'era di abbondanza della serialità televisiva è diventato raro trovare un prodotto ben confezionato che ti permetta di non chiedere di più, ed è altresì interessante constatare oggi come questo traguardo riesca a ottenerlo quasi esclusivamente una Cable come HBO che, forse grazie alla formula quantità<qualità preferita da molti altri player, resta la numero un in fatto di quality television.
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