AMERICAN HORROR STORY: recensione s05e01 "Checking in"

L’Hotel Cortez ha finalmente aperto i battenti e non potevamo essere più impazienti. Murphy & Co. Avevano da farsi perdonare qualche debacle delle scorse stagioni e ci avevano promesso un American Horror Story in grado di tener testa alla prima –gloriosa- stagione. E questo pilot mantiene le promesse.
 [SPOILER]

Come Murder House, Hotel è ambientato nella nostra epoca, ma più della casa infestata l’Hotel Cortez sembra racchiuso in un proprio mondo, grazie anche all’arredamento retrò che sembra  racchiudere tutta la sua storia passata e distaccarlo abilmente dalla Los Angeles in cui è ambientata la vicenda. Come ci hanno ben insegnato, la storia si muove su archi temporali diversi, con personaggi diversi,  in un incastro molto sapiente di momenti che riescono a mantenere il ritmo di una puntata piuttosto introduttiva.

Facciamo la conoscenza -di alcuni- dei personaggi e scopriamo quali saranno i terrori di questa stagione.  E' proprio in questi momenti, in cui si scoprivano le carte in gioco dei temi soprannaturali di quest’anno, che mi è sembrato di rivedere l’American Horror Story che ho amato nelle prime due stagioni. C’è sempre stato un filo conduttore, in tutte le stagioni (fantasmi, stregoneria, fenomeni da baraccone…) fortemente evidente a cui erano però affiancate molte più storie, fobie, orrori. Quest’anno il topic è il vampirismo ( o sindrome del sangue antico, come preferisce chiamarla Murphy) e con lui le droghe e la dipendenza,  che sia questa  di sostanze, fama o sesso. Ecco, ho apprezzato come sono state poste. Il richiamo più soprannaturale e riconoscibile, quello alla Contessa vampira, che entra in scena in modo volutamente esplicito – mantello rosso, Tear You Apart in sottofondo, quella chicca di Nosferatu sullo schermo del drive in-  è quello che mi è sembrato più umano, nel senso di meno grottesco dei mostri vampiri a cui  siamo stati abituati, terrificante in un senso del tutto nuovo. L’orgia di Donovan e della Contessa, che finiscono per bere il sangue dei due sconosciuti, sembra un naturale (e omicida) culmine all’atto più che un assalto vampiresco. E questo è un bene, perché non avevamo bisogno di un banale vampiro che si aggira nell’ombra. Insomma, questo è il terrore alla luce del sole. O delle lampade al neon se preferite.  Nascosto nell’ombra c’è ben altro: la dipendenza da droghe di Sally e Gabriel, che è il reale, diventa davvero reale perché personificata fino a diventare un vero mostro. Nella mia opinione l’assalto dell’essere senza volto a Gabriel  è una scena abbastanza cruda, ma è la frase di Sally a metterla in evidenza per quello che è “The more you scream, the more he likes it”. E’ brutale, è la metafora che diventa viva, è l’arte di American Horror Story.

Mi è piaciuto come tutta la storia all’hotel si sia incentrata quasi soltanto su una sola stanza, come un richiamo ai grandi classici: in Shining avevamo la stanza 237  e due gemelle sul triciclo, all’hotel Cortez la stanza 64 e due bambini succhiasangue. Kubrick sarebbe fiero.

Nel mentre si è sviluppata la storia del detective John Lowe, che dovrebbe essere il nostro legame al mondo reale,  e il misterioso killer. In realtà si è scoperto molto più di quello che mi aspettavo su di lui, e questo mi fa pensare ci sia molto più di quello che immagino ancora da vedere. Soprattutto quando sappiamo che Lowe si è appena trasferito nello stesso hotel del figlio scomparso creduto-morto-ma-in-realtà-vampirizzato.

Un altro dettaglio che mi è saltato all’occhio è come i dialoghi ( dell’arco narrativo all’interno dell’hotel) siano stati ridotti al minimo. Erano quasi solo le immagini a parlare. E un’ ottima scelta musicale.

Tirando le somme, è stato un pilot soddisfacente, con quel brivido che mi era mancato in Coven e Freak Show. Stando agli spoiler, poi, non abbiamo ancora visto niente. Io riconfermo la prenotazione all’hotel, voi?


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Articolo di Alf

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