AMERICAN HORROR STORY - Recensione episodio 6x09



Ad un solo episodio dal season finale, il nono capitolo di American Horror Story: Roanoke non ha riservato alcuna pietà, proprio come promesso. 

Ciò a cui abbiamo assistito è stato l'episodio più tragico (nel senso drammaturgico del termine) di questa stagione, un arco narrativo che di per sé non sembra avere mai scherzato. Il sorgere del sole sul terreno consacrato di Roanoke non ha significato altro che un avvicinamento repentino all'ultima notte della Luna di Sangue, la più terribile.


Attenzione: SPOILER!



Nell'ottavo capitolo avevamo dato per spacciata Monet e per scontato l'esito di Return to Roanoke. Alla notizia (data già dal sesto episodio) che solo uno dei protagonisti sarebbe sopravvissuto all'incubo, era difficile non scommettere sul personaggio di Sarah Paulson, la quale, fino a questo momento,  vantava ben cinque stagioni da sopravvissuta.

AHS è sempre stato uno show tendente a mandare tutto all'aria nel giro degli ultimi due episodi, ma questa stagione ha fatto molto di più. Lo abbiamo visto e non possiamo fare a meno di ripeterlo. Roanoke è stato un'incredibile esperimento narrativo che ad oggi non ha ancora termine. Dopo un primo, straordinario, sovvertimento della storyline in chapter 6, ci apprestiamo ad assistere all'ultimo e atteso colpo di scena.

L'ultimo episodio andato in onda non ha fatto altro che rappresentare la costruzione di un terzo livello di narrazione, dal punto di vista del cast più importante: gli spettatori. I tre sventurati ragazzi armati di videocamere siamo infatti noi, coinvolti per ultimi (ma non ultimi) nell'incubo di Roanoke. Magistrale è stata infatti la scena che ha visto per protagonisti i veri protagonisti dell'episodio, Milo e Sohpie Green (Taissa Farmiga) nell'accampamento di Sidney di fronte ai monitor della casa. Quelli siamo noi. Noi sul divano, di fronte alla televisione o al portatile appoggiato sulle nostra ginocchia tremanti. I tre allegri ragazzi (morti) rappresentano noi telespettatori, amanti di My Roanoke Nightmare e affezionati ai loro protagonisti.




A questo scopo l'anticipato ritorno dell'amata Taissa Farmiga è durato ben poco, ma proprio per questo è stato all'altezza delle aspettative. Sophie Green è diventata parte dello show di cui era appassionata e ha avuto l'occasione di condividere il terrore (e il destino) insieme ai suoi beniamini. La straziante fine di Milo e Sophie è solo l'ultima di una serie di tristissime fini, questo è certo. Ma la breve durata della performance di Taissa è la ciliegina sulla torta del sorprendente (e solo apparente) abbattimento di uno star system costruito con fatica e creatività nel corso di cinque stagioni.


Ma il vero abbattimento, autentico tema della stagione, è un altro ancora. Parliamo del Patriarcato e delle figure ad esso avverse (e vincitrici) che in Roanoke sono state messe in gioco. Da Macellaia a Macellaia, Da Thomasine White a Lee Harris, passando per la Prima Suprema (un'apprezzata Lady Gaga ai margini della storia) il matriarcato l'ha avuta vinta. Con il senno di poi e seguendo questo ragionamento, solo una donna disposta a tutto per il bene della propria figlia (o della propria colonia) al punto da uccidere il proprio marito (o il proprio figlio) poteva sopravvivere all'incubo di un patriarcato non ancora sradicato dalla società non solo americana e condannato dalla stessa Sophie a pochi minuti dalla sua comparsa.

Nemmeno Sarah Paulson, dicevamo, è sopravvissuta a questo disegno di Murphy e compagnia, al contrario di Lee, rea confessa dall'ottavo capitolo e trasformata dalla Suprema nella nuova protettrice di Roanoke. 

Di ciò che ci aspetterà nel gran finale ne abbiamo solo qualche spunto, qualche accenno, una vera e propria traccia. Ma non abbastanza per poter canonizzare o condannare questa stagione come la migliore delle sei. I presupposti ci sono certo tutti ma, com'è giusto che sia, il gusto e la soggettività regnerà sovrana.




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Articolo di Fabio Scala

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