TWIN PEAKS Recensione episodio 3x06


Ci sono due fulcri narrativi, in questo sesto episodio, e due sole città stavolta, che rappresentano due facce opposte dell’America: la cittadina di Twin Peaks – ideale rappresentazione di tutte quelle minuscole cittadine sconosciute ai più  – e la sfavillante città di Las Vegas – di cui basta il nome per evocare immagini leggendarie note in tutto il mondo.


A Twin Peaks accadono finalmente cose di una certa importanza: si scopre che il meschino Richard Horne, che sembra aver ereditato il ruolo di bullo del luogo che fu di Bobby Briggs (in una versione decisamente più cattiva e sgradevole) è in affari con uno spietato re della droga locale, Red, altro villain di chiaro sapore lynchano, in grado di spaventare, ammaliare e fare  giochi di prestigio, tutto nello stesso momento. 

Frustrato da un incontro con Red, Richard, sotto l’effetto della rabbia e della droga, investe e uccide un bambino ad un incrocio di Twin Peaks, ma una donna lo vede in volto e forse lo riconosce, mentre fugge senza neanche rallentare. Intanto alla stazione di polizia, Hawk, seguendo una monetina con sopra una testa di indiano, trova finalmente l’indizio che la signora Ceppo gli aveva detto di cercare: dentro l’intercapedine di una porta del bagno, trova alcuni fogli strappati: immediato il pensiero dei fan, che corre subito alle pagine mancanti (e mai ritrovate) del diario segreto di Laura Palmer.

Un rapido salto al passato per chi se lo fosse dimenticato: nel film, Fuoco cammina con me, Laura Palmer teneva un diario segreto dove raccontava gli abusi subiti da Bob (di cui lei stessa ignorava la vera identità, mettendone persino in dubbio la reale esistenza) e gli eccessi della sua doppia vita, vissuta tra consumo di droghe e prostituzione. Laura aveva scoperto, con orrore, che qualcuno aveva trovato il diario e ne aveva strappato delle pagine. Aveva sospettato subito di Bob – non sapendo ancora e al tempo stesso cominciando a intuire che Bob potesse essere in realtà suo padre – e aveva consegnato il diario all’amico Harold Smith, l’unico che fosse a conoscenza dell’esistenza di Bob. Nella prima stagione di Twin Peaks, Cooper e Truman erano entrati in possesso del diario e avevano cercato le pagine mancanti, senza però trovarle. Fino ad oggi…forse.

A Las Vegas invece si intrecciano due storyline, al momento ancora separate ma destinate presto a intrecciarsi: da un lato, Dougie Jones, al quale stiamo cominciando ad affezionarci, smaschera, senza neppure saperlo, un collega disonesto e passa dalla minaccia di licenziamento alla più viva riconoscenza da parte del suo capo, mentre la grintosa moglie di Dougie, Janey-E, salda il debito del marito e rimette al loro posto i due scalcagnati criminali che si ritrovano con molti meno soldi di quanto preteso.

Nel frattempo, Duncan Todd, l’uomo che era già apparso nella prima puntata e che abbiamo intuito essere al servizio di qualcuno di molto potente che vuole morto Cooper (tutti i Cooper in circolazione), assolda un sicario per far uccidere la donna che non ha portato a termine l’omicidio di Dougie e lo stesso Dougie. Il sicario, un nano con la passione per i dadi e per i rompighiacci, irrompe nell’ufficio della donna e fa strage di lei e di chiunque incontri. Per Dougie – che pure è protetto da alcuni spiriti della Loggia – le cose non promettono bene…
Tra l’una e l’altra trama, Lynch prende bene la mira e spara un colpo di scena da maestro: scopriamo che la misteriosa donna cercata da Albert e Gordon altri non è se non Diane, la mitica segretaria alla quale Cooper raccontava tutto sui suoi casi parlando a un piccolo registratore.


Ci sono sempre state due scuole di pensiero circa l’esistenza di Diane: non era assurdo pensare che uno come Dale Cooper potesse semplicemente aver creato un’interlocutrice immaginaria che lo aiutasse a riflettere ad alta voce, d’altra parte Dale Cooper era anche un uomo molto metodico e razionale e non era insolito neppure pensare che stesse effettivamente condividendo le riflessioni sulle indagini con una segretaria a cui era molto legato.

L’apparizione in carne ed ossa di Diane, che ha il volto di Laura Dern (e, col senno di poi, ci viene da dire: quale altro volto avrebbe potuto avere?), ha dunque dato risposta ad almeno una delle domande che i fan conservano da ventisei anni. Lo sviluppo del suo personaggio all’interno della storia è intuibile, ma ci troviamo pur sempre nel regno di Lynch e nulla può essere dato per scontato.
Una delle cose che caratterizza la puntata in modo insolito rispetto alle altre è l’alta dose di atrocità ed efferatezza: mai Lynch si era spinto a un livello così alto ed esplicito di violenza, neppure nei momenti più chiaramente horror della serie (l’omicidio di Maddy nella prima stagione, il finale della seconda stagione nella Loggia Nera, l’omicidio di Sam e Tracey nella prima puntata di questa nuova stagione, etc.).

In questo episodio sono ben due gli omicidi che destano orrore negli spettatori, sebbene contestualizzati in maniera molto diversa l’uno dall’altro e concepiti per suscitare due tipi molto diversi di orrore.
Il primo omicidio è quello commesso da Richard, che, guidando a folle velocità e compiendo un sorpasso spericolato, travolge il bambino a un incrocio di Twin Peaks, il secondo è quello commesso dal nano col rompighiaccio.
Nel primo caso, vanno notate alcune cose: innanzitutto la scena mette in gioco tanti piccoli indizi che provengono, ancora una volta, dal film Fuoco cammina con me: c’è Carl, il gestore di quel parcheggio per roulotte, il Fat Trout, dove viveva Teresa Banks, la prima vittima di Leland/Bob in un paesino vicinissimo a Twin Peaks e soprattutto c’è l’incrocio, dove avviene l’incidente, che è lo stesso incrocio dove Leland e Laura, in macchina, erano stati raggiunti dall’Uomo senza un braccio, alias lo spirito Mike, il quale accusava Leland/Bob di aver rubato tutto il granturco (ossia la Garmonbozia, in linguaggio criptico) e metteva in guardia Laura da suo padre.

La stessa Garmonbozia – che non è mai stata propriamente spiegata da Lynch: cos’è realmente? Come funziona? Perché gli spiriti ne sono così dipendenti? – viene evocata da un’aura gialla che si libra in aria e sembra sprigionarsi dalle grida di dolore della madre.
La seconda cosa che dobbiamo sottolineare è l’estremo realismo estetico della scena, che arriva come un pugno nello stomaco e fa irrompere nella visione un senso di malessere difficile da descrivere, ma di certo non fine a se stesso. Mostrare con tanta chiarezza la morte di un bambino non è prassi usuale per i registi, sia del grande sia del piccolo schermo.

Per molti anni, nella storia del cinema, si è considerato inammissibile ed è sempre stata oggetto di autocensura la rappresentazione in scena dell’omicidio di bambini e animali, ossia delle creature innocenti per eccellenza. Se un bambino doveva morire di morte violenta, generalmente il regista aveva due strade: far avvenire la morte fuori campo oppure evocarla, sulla scena, attraverso un oggetto simbolico: un bambolotto di pezza squarciato, una scarpina abbandonata sul terreno. 
Oggi l’estetica della morte, nel cinema e in tv, è cambiata: è diventata sempre più aggressiva, iperrealistica, a volte persino gratuita, ma in linea di massima continua a risparmiare il pubblico dalla visione terribile della morte di un bambino.

Non però Lynch: Lynch, che ha sempre rotto i tabù del cinema, prendendoli come punto di partenza pionieristico per realizzare qualcosa di nuovo, non si fa spaventare dalla prospettiva di mettere in scena l’irrappresentabile per eccellenza: l’omicidio di un bambino innocente, che un momento prima giocava a rincorrersi con la madre – in un quadretto di gioia familiare piuttosto insolito in Twin Peaks – e un attimo dopo è investito, il corpicino atrocemente sbatacchiato e poi inerte, insanguinato, tra le grida terribili della madre, lo sguardo sconvolto degli astanti, la dolente pietà umana di Carl, che un momento prima aveva osservato con tenerezza il gioco della mamma e del bambino.

Non c’è cinismo in tutto questo, nè gratuità: Lynch rappresenta il dolore come solo un regista coraggioso sa fare. Se finora ci ha terrorizzato con scenari inquietanti, spiriti demoniaci, omicidi soprannaturali, adesso ci lancia addosso la gelida secchiata dell’esistenza che, forse, preferiremmo dimenticare.


Avevamo già detto che i bambini rappresentano una novità assoluta in questo nuovo Twin Peaks: a parte l’inquietante nipote della signora Tremmond, apparso in Fuoco cammina con me e anche in una puntata di Twin Peaks la serie, che comunque era anch’egli uno spirito, non ci sono mai stati molti bambini nel mondo di Lynch.


Adesso ce ne sono diversi: il grazioso Sonny Jim, che è sempre più vicino al nostro cuore, ogni volta che lo vediamo giocare teneramente con Dougie/Cooper (splendida la scena in cui i due battono le mani per spegnere e accendere le luci nella stanzetta del bimbo), c’è il bambino curioso che, nello scorso episodio, ha rischiato di saltare in aria, già prefigurando, a nostra insaputa, la morte di quest’altro bambino. E ci sono i bambini del parco giochi dove Janey-E incontra i due balordi che ricattano Dougie e, nel discorso arrabbiato e dolente della donna, risuona la nota malinconica che avvolge l’episodio e, più in generale, la consapevolezza di vivere in un mondo ingiusto dove neppure i bambini sono risparmiati.

Il secondo omicidio, a Las Vegas, punta invece nella direzione del puro e semplice raccapriccio, mescolato a una paradossale e orrida comicità: il nano, come un troll impazzito, irrompe nell’ufficio sulle note di un motivetto musicale persino allegro. Aggredisce la donna e infierisce su di lei con il rompighiaccio in un parossismo di sangue e ferocia, poi insegue e uccide (fuori campo stavolta) una segretaria e se ne va, rammaricato nel vedere che, nella foga delle pugnalate, la punta del rompighiaccio si è piegata ed è ormai inservibile.

Se le precedenti puntate, con il loro ritmo lento e dilatato, ci avevano, in certi momenti, quasi intorpidito, questo episodio ci ha dato decisamente più di una scossa e ha risvegliato il nostro fiuto attorno a quella che potrebbe essere la domanda chiave della stagione: l’uomo o l’entità, che vuole morto a tutti i costi Dougie Jones, vuole forse impedire il ritorno del vero Cooper nel mondo reale?
E, vista l’insistenza con cui Lynch richiama Fuoco cammina con me, possiamo pensare che finalmente ci verrà spiegato ciò che non abbiamo mai saputo: che fine hanno fatto gli agenti scomparsi dell’FBI, Phillip Jeffries e Chester Desmond? Come funziona l’anello verde che, se indossato, fa sparire nel nulla le persone?Che cos'è la misteriosa "Blue Rose", nominata per la prima volta proprio da Chester Desmond in Fuoco cammina con me e che sembra un nome in codice, noto solo ad alcuni agenti dell'FBI, e che potrebbe indicare casi speciali, alla X-Files per intenderci, di natura soprannaturale?

Ma soprattutto c'è una cosa che tutti noi ci domandiamo sin dall'inizio di questa serie: esiste il Bene, da qualche parte, nella visionaria filosofia del mondo di David Lynch o la Loggia, con i suoi spiriti, i suoi enigmi e le sue bizzarre magie, è la rappresentazione di un Male atavico, amorale e a suo modo giocoso come un bambino, oltre il quale non c’è altro?


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Articolo di Doriana Comandè

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